19 Settembre 2024

Il Ppe: «È da chiudere, è una scena socialista del crimine». La Droi prima era guidata da Panzeri, poi uno scambio continuo di collaboratori

All’ingresso dell’emiciclo, il foglio passa di mano in mano. C’è anche la nota a piè di pagina, nel caso servissero ulteriori spiegazioni. «Ecco una lista parziale delle istanze discusse nella Droi, la sottocommissione per i diritti umani, dove l’organizzazione di Antonio Panzeri era spesso invitata a parlare. Abbiamo incluso anche altre occasioni dove invece è stata coinvolta l’Ong gemella diretta da Niccolò Figà-Talamanca, che dirige questa lobby ed è considerato uno dei principali sospettati».
A questo ci si riduce. Al mors tua vita mea, in attesa di ulteriori novità. In questo caso il servizio è fornito dal Ppe, principale rivale nel Parlamento europeo dei Socialisti&Democratici, al momento l’unica famiglia colpita — anche se non ancora affondata — da un’inchiesta che promette di non essere breve. Nell’elenco degli incontri sospetti c’è di tutto, un fascio di ogni erba. Tanto per dire, l’ultima segnalazione riguarda la riunione dello scorso 26 settembre, che aveva all’ordine del giorno la protezione dei diritti degli indigeni brasiliani. Ci sono anche tappe alquanto discusse in questi giorni di seduta plenaria a Strasburgo. Una su tutte, quella dello scorso 10 maggio. Nell’aula della Droi viene presentato il rapporto annuale di «Fight Impunity», la Ong di Panzeri, evento al quale fa seguito la discussione su un rapporto nel quale si sostiene che gli Emirati Arabi cercano di corrompere gli eurodeputati in modo che agiscano per «screditare l’immagine dei Paesi rivali, come Qatar e Turchia».
È un tomo di oltre duecento pagine, focalizzato sulla denuncia delle attività di lobbying del «Gruppo di amicizia parlamentare Emirati Arabi Uniti-Unione europea», presieduto dall’eurodeputato spagnolo del Partito popolare Antonio López-Istúriz White e definito come una specie di macchina del fango attiva contro gli odiati rivali qatarioti. Partecipano anche ospiti esterni, come Shelby Grossman, professoressa della Stanford University, e la giornalista e scrittrice italo-palestinese Rula Jebreal. Il promotore del dossier è Figà-Talamanca. «Esiste un forte pregiudizio negativo nei confronti di alcuni Paesi arabi», dice la padrona di casa, la presidente della sottocommissione Maria Arena, «al quale non è estranea l’attività indebita di lobby perpetrata da altri Paesi rivali ». Fino a qui tutto bene, o quasi. Perché la Droi è davvero il crocevia di questa storia ancora oscura, il luogo che raccoglie le persone coinvolte o citate nell’inchiesta, spesso colpevoli solo di essere passate da quelle parti.
Panzeri è stato per quasi dieci anni il coordinatore del gruppo S&D della commissione. Il 25 gennaio del 2017 ne fu eletto presidente. «Per acclamazione», come sottolinea una nota dell’epoca del suo gruppo. L’accettazione della carica comporta la cessione della presidenza della delegazione per i Paesi del Maghreb, che dopo un interregno di poche settimane passa ad Antonio Cozzolino.
Nel 2019, l’ex segretario della Camera del lavoro di Milano si ritira a vita privata e passa all’europarlamentare napoletano il suo assistente storico, Francesco Giorgi. A dirigere la Droi viene chiamata Maria Arena, la deputata socialista belga di origini siciliane che fin dal suo ingresso nel Parlamento europeo viene associata in ogni sua attività al più esperto Panzeri. U na coppia politica di fatto è il giudizio pressoché unanime nei corridoi di Strasburgo. Lo testimonia anche lo scambio continuo di personale. Gli assistenti dell’una diventano collaboratori dell’Ong nel frattempo fondata dall’altro, con Giorgi, che ha lavorato con entrambi, a fare da tratto d’unione.
E qui le strade si dividono, almeno a livello di reputazione. Se ormai nessuno dei suoi ex colleghi mostra di conoscere Panzeri, dimostrando così di avere notevoli problemi di memoria, con Arena è un’altra storia. Nata a Mons, figlia di un immigrato italiano arrivato in Belgio a sei anni ed entrato in miniera a 14, la sua è una parabola politica declinata nell’impegno per i diritti civili. La squadra, composta da studiosi usciti dall’università, si basa sulla comune militanza per la causa palestinese, per le minoranze etniche di ogni ordine e genere. «Forse è perché ho lottato tutta la vita per essere considerata belga e non una immigrata», disse un giorno lei. Forse qualcuno ha approfittato di questa passione, forse qualcuno altro non ha saputo vedere.
Ma la «Fight Impunity» di Panzeri ha tratto grande beneficio dal sodalizio con la sottocommissione Droi. Fondata nel 2019, l’Organizzazione non governativa di Panzeri non si è mai iscritta al registro della trasparenza, atto obbligatorio per ricevere qualunque finanziamento. Nel 2021 ha stipulato un contratto da 143 mila euro con l’Ufficio studi del Parlamento europeo. Per farlo, era necessario avere la certificazione da parte di almeno un organismo interno. Ci avrebbe pensato la sottocommissione Droi, così riferiscono ambienti dell’Europarlamento. Nulla di illecito. Ma troppi intrecci. Ieri il Ppe ha chiesto la chiusura della sottocommissione sui diritti umani. «È una scena socialista del crimine, e va sigillata», ha detto uno dei portavoce di Manfred Weber. L’espressione è crudele, impietosa. Ma purtroppo potrebbe avere un fondo di verità.

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