19 Settembre 2024

I risultati del sondaggio che YouTrend ha condotto su base nazionale per conto della Fondazione Pensiero Solido

Il fenomeno ChatGpt è forse la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non che di intelligenza artificiale e algoritmi di machine learning non si parlasse e discutesse anche prima della disponibilità al grande pubblico dell’AI generativa che ha convinto Microsoft ad investirci oltre 10 miliardi di dollari (e Google a correre velocemente ai ripari), ma è indubbio che oggi il tema è più caldo e di stretta attualità che mai.
Il sondaggio che YouTrend ha condotto su base nazionale su un campione di oltre 800 individui adulti per conto della Fondazione Pensiero Solido ha cercato di capire il livello di conoscenza e di percezione che gli italiani hanno dell’intelligenza artificiale con una precisa focalizzazione sulle possibili conseguenze per il mondo del lavoro.

«Una responsabilità sociale aumentata»
Il dato probabilmente più importante che evidenzia l’indagine è il seguente: la maggioranza della popolazione italiana (il 54% dei rispondenti per la precisione) si confessa impreparata in materia di AI e una percentuale ancora più alta di intervistati (il 59%, percentuale che sale al 64% per gli over 55) è inoltre dell’idea che le leggi dello Stato dovrebbero intervenire il più possibile in merito alla sua applicazione, anche vietandone l’uso se fosse il caso, o comunque regolamentandone lo sviluppo e la maggior parte dei casi di utilizzo.
«La ricerca – come ha osservato Antonio Palmieri, fondatore e presidente Fondazione Pensiero Solido – dimostra che gli italiani desiderano da una parte capire meglio che cosa sia questa tecnologia e dall’altra si dicono preoccupati degli effetti che può generare, tanto che chiedono nella maggior parte dei casi un intervento normativo. Dobbiamo quindi uscire dall’emotività e arrivare a una consapevolezza diffusa, a chiarire le opportunità e le sfide dell’AI certi che la responsabilità maggiore sia in capo a chi progetta questi software. E sono per questo convinto che serva da parte di programmatori e imprese una responsabilità sociale aumentata».

Gli impatti sul mondo del lavoro
Sul fronte occupazionale, prevale in linea generale la percezione che l’intelligenza artificiale porterà a un calo complessivo dei posti di lavoro. La pensa così il 51% degli intervistati, mentre per il 10% aumenteranno le possibilità di impiego. Per un italiano su quattro (il 26%), invece, le capacità di ChatGpt e simili non impatteranno più di tanto in termini di volumi ma contribuiranno a cambiare le mansioni.
Il sondaggio ha rilevato inoltre altri interessanti stati d’animo dei lavoratori della Penisola. Il 55% di chi ha oggi un’occupazione non sarebbe disposta a farsi dare volentieri istruzioni da un chatbot sul luogo lavoro e i più restii sono le donne e i residenti al Sud (rispettivamente il 64% e il 62%) mentre la pensa di parere opposto il 37% del campione. Il tutto considerando che gli strumenti di valutazione automatica e di controllo delle attività lavorative dell’AI sono percepiti come un vantaggio in un caso su due, con percentuali ancora superiori tra i giovani fra i 18 e 34 anni e i laureati, mentre sono bollati come uno svantaggio nel 30% dei casi perché ritenuti incapaci di giudicare il lavoro di una persona.
E ancora: Solo una minoranza degli occupati si sente aiutata o all’opposto minacciata (con percentuali rispettivamente del 23% e del 21%) dai cambiamenti portati da queste nuove tecnologie, mentre la maggioranza (il 50%) non si sente toccata dai suoi possibili impatti. Altrettanto interessanti, e con qualche voce a sorpresa, sono infine le valutazioni raccolte per quanto riguarda i lavori percepiti come più sostituibili da un’intelligenza artificiale: in cima alla lista delle professioni “a rischio” ci sono gli impiegati di ufficio, con il 56% delle risposte, seguiti da operai (51%) e commessi (43%), e quindi mansioni che non richiedono titoli di studio elevati. Chi invece dovrebbe preoccuparsi meno dell’avanzata dell’AI sono invece gli artisti (24%), gli imprenditori (26%) e i medici (27%).

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