22 Novembre 2024

Oltre 4.000 detenuti sono stati “liberati” dalle gang che vogliono rovesciare il premier Ariel. Le testimonianze: «Scuole chiuse, voli annullati, in strada si muore per i proiettili vaganti»

Haiti è finita in un buco nero di anarchia e violenza. Nelle strade si susseguono le sparatorie fra gang, che ormai controllano buona parte della capitale. Migliaia di prigionieri sono evasi dai due principali penitenziari del Paese, nella capitale Port-au-Prince e a Croix des Bouquet. «Liberati» dalle bande armate che hanno assaltato penitenziari e caserme di polizia, con l’aiuto anche dei droni. Imprecisato il numero dei morti ma la situazione, come conferma l’italiana Flavia Maurello, rappresentante della Fondazione Avsi ad Haiti, «è terrificante». Negozi, scuole, banche sono chiusi. «Gli abitanti sono di fatto prigionieri delle gang negli slum o sono costretti a fuggire dalle proprie case, sfollati nella propria terra», le fa eco Maria Vittoria Rava della Fondazione Francesca Rava. È stato decretato lo stato d’emergenza per tre giorni, con coprifuoco dalle 6 di sera alle 5 del mattino. Tutte le compagnie aeree hanno sospeso i voli da e per Haiti. E il primo ministro ad interim Ariel Henry, che si trova in Kenya per firmare un accordo per l’invio di 1000 soldati di una forza di sicurezza sotto l’egida dell’Onu, rischia di non riuscire più a rimpatriare.

Uno dei capi, Jimmy detto «il barbecue»
È probabilmente questo uno degli obbiettivi dei gruppi armati che ormai controllano l’intera parte bassa di Port-au-Prince. Uno dei loro capi, Jimmy Cherizier, detto il «Barbecue», aveva preannunciato un’offensiva per rimuovere Henry, che avrebbe dovuto lasciare l’incarico a inizio febbraio e invece ha indetto elezioni solo per il 2025. Il premier ad interim è considerato da una parte della popolazione haitiana, e di una potente élite, come un «usurpatore» dopo l’assassinio nel 2021 del presidente Jovenel Moise. I presunti sicari colombiani di questo omicidio così come l’ex presidente della Camera dei deputati, considerato il mandante assieme alla vedova di Moise, hanno rifiutato di unirsi all’evasione e sono stati trasferiti in un altro carcere, riferisce la polizia.
«Le carceri sono state letteralmente evacuate dalle bande armate, oltre 4000 detenuti sono evasi. Quella di Port-au-Prince è quasi vuota, dietro le sbarre è rimasto meno del 10% dei prigionieri, quelli che non avevano un posto dove andare», riferisce Maurello. «È stato indubbiamente un attacco pianificato e foraggiato. Difficile dire da chi ma è evidente che questi attacchi hanno radici politiche che rafforzano il potere delle gang e l’instabilità. La maggior parte dei commissariati sono stati distrutti nella capitale e i poliziotti si sono ritirati nelle accademie in attesa di nuovi attacchi».
Dal devastante terremoto del 2010 ad Haiti non si fa un censimento, ma si stima che nella capitale viva la stragrande maggioranza della popolazione, ossia circa 10 milioni di persone. Sono tutti barricati nelle case, a parte i membri delle gang che erigono barricate con gli pneumatici. Avsi ha dovuto interrompere le attività negli slum della capitale. «Dal 2004 offriamo servizi di base nei quattro principali bidonville, dove lo Stato non c’è, in centri polifunzionali rivolti a donne, bambini e ragazzi, ma in questo momento non è possibile», conclude Maurello. «Anche a Cap-Haïtien, nel nord, c’è in questo momento molta violenza».

Gli sforzi della Fondazione Rava
Continuano ad operare, pur tra mille difficoltà, i due ospedali della Fondazione Rava. «La situazione qui è gravissima, una escalation di violenza, ma non possiamo perdere la forza e la speranza e continuiamo a portare soccorsi medici negli slums, a Cité Soleil, Carrefour Marrin e Carrefour Fourgy, e acqua e viveri alle famiglie rifugiate obbligate dalle gang a lasciare le loro case», dice padre Rick Frechette, direttore dei progetti della Fondazione ad Haiti. Fondazione Rava lancia un appello urgente per l’acquisto di culle e letti per l’ospedale pediatrico di St. Damien, che ogni anno cura 80.000 bambini. «I nostri medici sono un esempio di coraggio, continuano a lavorare, dormono qui per non affrontare nel buio le sparatorie», racconta la dottoressa Pascale Gassanti, direttrice dell’ospedale. «Dal 1987 siamo qua e non ci fermiamo neanche ora se possiamo continuare a salvare qualche piccola vita, anche se le difficoltà sono immense».
«Si ammazzano tra fratelli, Haiti ormai è un Paese fantasma, dove è difficile vedere gente camminare per le strade normalmente», racconta Maria Vittoria Rava, che è appena tornata da una visita nella capitale. «Da 25 anni ho nel cuore Haiti, con la famiglia ho trascorso lì molti Natali ma oggi non ci porterei nessuno. Troppo pericoloso. È facilissimo diventare il bersaglio di un proiettile volante. L’unico baluardo è sapere di avere due ospedali. Che dobbiamo riuscire a tenere aperti».

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