Li chiamano “orfani speciali”, sono i bambini e le bambine rimasti orfani a seguito di un femminicidio, conseguenza estrema della violenza sulle donne. L’Italia negli ultimi anni ha fatto diversi passi avanti per dotarsi di strumenti a contrasto di questo fenomeno, dalla ratifica della convenzione di Istanbul al Codice Rosso. Tuttavia i numeri dei femminicidi restano ancora alti. Stando ai dati Istat, nel 2023 sono state 117 le donne uccise; di queste, 96 sono vittime di femminicidio. L’82 per cento del totale. Una ogni tre, quattro giorni. Si tratta di donne che sono contemporaneamente figlie, sorelle, amiche e molto spesso anche madri. “Questi bambini, questi ragazzi subiscono la cosa peggiore che ti possa capitare: muoiono contemporaneamente le due persone che ti hanno generato. Con una aggravante: uno ha ucciso l’altra”, spiega Marco Rossi Doria, presidente dell’impresa sociale Con i Bambini. “Si tratta di bambini che hanno già vissuto violenze reiterate, sia fisiche e psicologiche – spiega Roberta Beolchi, presidentessa di Associazione Edela – e dopo l’omicidio della loro madre inizia per loro un ulteriore calvario”. Per venire incontro alle necessità degli orfani di femminicidio e alle famiglie affidatarie, l’Italia si è dotata di una legge – approvata l’11 gennaio 2018 – che riconosce tutele processuali ed economiche ai figli minorenni e maggiorenni della vittima di un omicidio commesso da un partner o ex partner. Ma non basta. Il perché lo spiegano Giuseppe Delmonte, Valentina Belvisi e Marco Sancandi, orfani di femminicidio. E i coniugi Adriana e Luigi Formicola, che stanno crescendo i nipoti dopo che la figlia Stefania è stata uccisa dal marito nel 2017, quando i bambini avevano rispettivamente 4 anni e 19 mesi. Alle loro testimonianze si aggiungono le voci di Roberta Beolchi e Marco Rossi Doria, che ci raccontano come molto spesso siano le associazioni le uniche a rispondere al grido d’aiuto degli orfani di femminicidio e delle loro famiglie affidatarie.