22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

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Dopo la Camera, secondo via libera al nuovo esecutivo in un emiciclo ancora una volta semivuoto. Assenti i senatori della Lega, diverso atteggiamento del M5s: fuori dell’Aula alla prima chiama, al voto in massa alla seconda “per far sentire il peso dell’opposizione”. Votano a favore Monti e i due ex Sel Stefàno e Uras. Polemica investe Poletti, confermato ministro del Lavoro, che prevede “elezioni prima del referendum sul Jobs Act”

Incassata la fiducia alla Camera con 368 sì, il governo Gentiloni ottiene il via libera anche al Senato: 169 i voti a favore, 99 i contrari, nessun astenuto. Le previsioni accreditavano il nuovo esecutivo di un sostegno tra i 166 e i 172 favorevoli, contando sulla presenza in Aula di ministri, senatori a vita e di tutte le forze della maggioranza. Domani, quindi, Gentiloni parteciperà da premier nel pieno delle sue funzioni al vertice dei capi di governo socialisti europei a Bruxelles, suo primo appuntamento internazionale e che precede il Consiglio Europeo.
I lavori si sono svolti, come alla Camera, in un Senato svuotato delle opposizioni, ma anche con gli scranni dei ministri quasi vuoti. Alla prima “chiama” assenti Lega Nord, M5S e Verdini con gli altri senatori di Ala, con I 35 senatori pentastellati che in mattinata hanno polemicamente lasciato sui loro banchi deserti una copia della Costituzione. L’atteggiamento del M5s è invece cambiato alla seconda “chiama”, quando i suoi senatori hanno rinunciato all’Aventino e hanno votato, in 30 su 35, contro la fiducia a Gentiloni. Spiegando che, alla luce dei numeri diversi rispetto alla Camera e delle incognite del voto, si è preferito partecipare al voto per “far sentire il peso dell’opposizione  e il peso dei 20 milioni di No al referendum”.
Se i 18 senatori di Ala di Verdini, esclusi da incarichi ministeriali, hanno voltato le spalle al nuovo premier, il governo Gentiloni guadagna invece i due sì non previsti dei senatori ex Sel Dario Stefàno e Luciano Uras. Per il nuovo governo si è espresso anche l’ex premier e senatore a vita Mario Monti.
Alla sua prima fiducia al Senato, Paolo Gentiloni ha pareggiato il numero di voti a favore registrati dall’esecutivo Renzi alla sua prima volta a Palazzo Madama. Anche l’ex premier infatti, il 24 febbraio del 2014, ottenne 169 sì contro 139 no, su 308 votanti (268 per la fiducia a Gentiloni) e senza alcun astenuto. Rispetto ad allora si sono comunque verificati passaggi dalla maggioranza alla minoranza e viceversa, soprattutto è nato il gruppo di Ala, a sostegno di Renzi durante il suo mandato e che oggi, come detto, non ha partecipato al voto.
Intanto, secondo la valutazione del ministro  del Lavoro, Giuliano Poletti, “si andrà alle elezioni prima del referendum Jobs Act”, sulla cui ammissibilità la Consulta si esprimerà a inizio gennaio. I tre quesiti abrogativi della riforma del mercato del lavoro, presentati dalla Cgil, mirano al reintegro e all’estensione dell’articolo 18, alla cancellazione dei voucher, alla reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti. Dovessero superare il vaglio della Corte Costituzionale, le elezioni politiche anticipate si svolgerebbero presumibilmente nella tarda primavera. “E – argomenta ancora il ministro – diventa ovvio che per legge l’eventuale referendum sul Jobs Act sarebbe rinviato. Il governo attende la decisione nel pieno rispetto delle competenze della Corte Costituzionale”.
Tra le dure reazioni alle parole del ministro, quella di Roberto Speranza della minoranza dem: “Più che invocare le urne per evitare il referendum, si lavori subito per modificare il Jobs Act. Sui voucher in modo particolare è esplosa una nuova precarietà sulla quale è doveroso intervenire”. Susanna Camusso: “Penso che bisogna confrontarsi con i problemi invece di pensare di rinviarli”, dice la leader della Cgil. Fabrizio Cicchitto: “Dire che bisogna fare le elezioni anticipate per evitare il referendum sul Jobs Act è del tutto inaccettabile e per certi aspetti suicida, sia rispetto alla battaglia politica che si deve fare a favore del Jobs Act sia più in generale”, dalla legge elettorale agli interventi economico-sociali con cui dare “segnali in direzione delle aree di disoccupazione e di sofferenza sociale”, per i quali il governo Gentiloni necessita di un “tempo ragionevole”. Ernesto Carbone, della segreteria dem, ricorda allora che “il rinvio del referendum in caso di elezioni nella prossima primavera non è un’invenzione di Poletti: lo prevede la legge istitutiva del referendum stesso, la 352 del 1970, che applica l’articolo 75 della nostra Costituzione repubblicana”.
Il discorso di Gentiloni: Intorno alle 13, prima delle dichiarazioni di voto, come di rito ha preso la parola il presidente del Consiglio: “Non siamo innamorati della continuità, avevamo chiesto una maggiore convergenza, ma dalle forze politiche c’è stata indisponibilità. La presa d’atto di questa situazione ha spinto le forze che compongono la maggioranza a formare questo governo. Per responsabilità. Sarebbe stato più utile sottrarsi a questa responsabilità, ma il segno di questo governo è farsi carico di questa situazione”, ha detto il premier all’Aula.
“Chiedo fiducia al Senato e ho fiducia nel Senato” ha aggiunto Gentiloni, perché “abbiamo impegni immediati sui quali il governo è al lavoro: penso al sostegno al sistema bancario, all’emergenza terremoto e ricostruzione, su cui oggi pomeriggio ho la prima riunione. E l’impegno europeo di domani. E il tema del lavoro, lavoro, lavoro, già sottolineato alla Camera”. Durata del governo? “E’ stabilita dalla Costituzione (ovvero, finché è sorretto da una maggioranza in Parlamento, ndr), ma certo solleciteremo la nuova legge elettorale, a prescindere da quanto durerà l’esecutivo, è urgente avere regole chiare che consentano di votare per Camera e Senato in modo armonico”. Anche ieri, alla Camera, il presidente del Consiglio aveva parlato di “esecutivo di responsabilità, che andrà avanti finché avrà la fiducia del Parlamento”, ricevendo poche ore dopo gli auguri del Cremlino e le congratulazioni del presidente Usa Obama.
Tre momenti di applausi in circa venti minuti di discorso. Il primo, quando il presidente del Consiglio ricorda il dramma di Aleppo, “che offende la nostra coscienza, uno dei maggiori insuccessi della diplomazia internazionale”, il secondo quando sottolinea la continuità con le “eccezionali innovazioni e riforme già messe in campo che noi dobbiamo completare”, il terzo quando il premier rinnova l’appello “a chi in questi mesi si è battuto alzandone la bandiera contro ipotetici e a mio avviso inesistenti tentativi autoritari, a rispettare il Parlamento e a partecipare alle sue riunioni in modo civile”.
Gentiloni chiude citando Ciampi: “Resto in carica per il tempo che sarà necessario in questa delicata transizione e servirò con umiltà gli interessi del Paese”. Lungo applauso dai senatori Pd, qualche brusio dai banchi M5s, alcuni di loro rientrati solo per ascoltare il discorso del premier. Poi, prima del voto di fiducia, Gentiloni lascia Palazzo Madama per il suo primo Consiglio di ministri a Palazzo Chigi.
Cartelli M5s in aula, interviene Grasso Una serie di cartelli gialli, con la scritta: “20 milioni di no”. E’ stata anche questa la breve protesta di M5s in aula del Senato prima di dichiarare il “no” al governo Gentiloni, con la nuova capogruppo Michela Montevecchi, perché “avete silenziato il Paese con un governo che è un insulto a tutti gli italiani che hanno votato No il 4 dicembre”. Il presidente Pietro Grasso ha disposto il ritiro dei cartelloni e ha quindi dato la parola alla senatrice.
Intanto si è riaperta anche la Camera che ha varato senza intoppi il decreto sugli ‘Interventi per le popolazioni colpite dal terremoto del 24 agosto, 26 e 30 ottobre scorsi nel centro Italia”. 441 i voti favorevoli, nessuno contrario e 5 astenuti. Il provvedimento era stato già approvato dal Senato, e diventa così legge. In aula anche i deputati del Movimento 5 Stelle mentre, per la fiducia al Senato, i parlamentari resteranno fuori dall’aula, stando all’annuncio di ieri sera dal leader Grillo. E lo stesso Grillo, con Davide Casaleggio, arriva nel pomeriggio a Roma, per un incontro con i parlamentari di M5s.
Il Wall Street Journal scrive: “Il cielo non è caduto” e “gli italiani hanno un nuovo primo ministro e una nuova opportunità di riformare la loro economia disfunzionale”, evidenziando la “politica moderata” di Paolo Gentiloni e la non “ostilità istintiva verso i mercati o gli Stati Uniti che sono comuni ad alcuni dei suoi colleghi del centro-sinistra Pd”. Una “nonhostility” che, si aggiunge, “non può essere sufficiente per salvare l’Italia, ma è un inizio. Il problema in Italia dopo il referendum è lo stesso problema di prima: nessuno, né nel Pd o in Forza Italia, sta offrendo un vero e proprio programma di riforme per la crescita”.Giovedì Gentiloni avrà il battesimo all’estero come premier, partecipando al Consiglio europeo.

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