Fonte: Corriere della Sera
di Marzio Breda
Le opzioni e l’irritazione sull’idea di un partito del Colle che vorrebbe coinvolti il ministro dell’Economia Tria e quello degli Esteri Moavero
Un partito del Quirinale, il cui inquilino sarebbe un leader ombra, infiltrato nel governo grazie ai ministri Tria e Moavero, oltre che allo stesso premier Conte? A Sergio Mattarella quest’immagine è ormai venuta a noia per un paio di motivi. Il primo, fattuale, perché Tria fu scelto dalla Lega e Moavero dai 5 Stelle, che designarono pure Conte (basta rileggersi le cronache del 2018). Il secondo motivo è di ordine costituzionale, e lui si sente costretto a ricordarlo ancora: chi sta al mio posto «non fa politica ma l’arbitro», con «il dovere di garantire funzionalità alla vita istituzionale» (e pure qui, per capire quanto sia vero, bastano i suoi atti). Certo, un presidente arbitro come Mattarella è — in chiave soft eppure penetrante — «non può non richiamare al rispetto del senso delle istituzioni e ai conseguenti obblighi, limiti e doveri». Ma ciò non significa, per esempio, che si darà la pena di creare a ogni costo un nuovo governo, se cadesse questo. L’ha lasciato capire, ieri, insieme ad altri aspetti sottintesi, incontrando i giornalisti alla cerimonia del Ventaglio: siano le forze politiche della maggioranza a occuparsene, «facendo chiarezza». Traduciamo: veniamo da una campagna elettorale «lunghissima», smettetela… se non sarete chiari, vuol dire che non intendete proseguire.
Salvaguardare la Finanziaria
E la fatidica «finestra» del 15 luglio entro la quale la crisi non sarebbe più possibile, per salvaguardare la Finanziaria? Salvini ha ripetuto più volte che è «sempre aperta», ma è così pure per il presidente? A parte il sollievo per aver evitato (anche per merito di un suo netto intervento da Vienna, il primo luglio) la procedura d’infrazione, lui ovviamente non ne parla. Tuttavia fa i conti con la realtà e che si voti a ottobre, se dovesse accadere, non cambierebbe radicalmente i termini del problema. Il tempo per chiudere la manovra scade il 31 dicembre e ci sono state diverse occasioni in cui una Finanziaria è stata fatta di corsa se non in 48 ore (con Berlusconi, Monti e gli stessi gialloverdi, un anno fa). Il punto è che bisogna mandare a Bruxelles un’ipotesi di Finanziaria aderente agli impegni pluriennali presi lo scorso autunno. L’importante, per l’Unione europea e per lui, è il rispetto di quell’impegno e di quei saldi.
Libertà d’informazione
E, altro risvolto ancora: nell’eventualità di una crisi, il Colle farebbe un governo per traghettarci al voto? O sarebbe Conte a traghettarci alle urne? Restando al «non detto» di ieri, ma già maturo nelle riflessioni di Mattarella, tutto dipende da come si configura la crisi. Se avvenisse per rottura della coalizione, sarebbe inopportuno che questo esecutivo arrivasse a elezioni e si imporrebbe dunque la necessità di un governo «di garanzia elettorale» (non definibile come tecnico), senza esponenti di partito, con la sola missione di indire il voto. E c’è il precedente di un governo Fanfani, durante la Prima Repubblica, che fu incaricato di portare il Paese al voto e si limitò a questo. Da ultimo, restando nel campo dei retropensieri, è notevole un cenno del capo dello Stato alla libertà d’informazione che è suonato su misura per la Rai. Quando ha esortato i giornalisti ad «agire con indipendenza e rigore», rammentando una sentenza della Corte Suprema americana in cui si spiegava che «la stampa è fatta per servire i governati e non i governanti». Chissà se sono fischiate le orecchie ai nostri politici che protestano perché non si sentono abbastanza presenti in video.