22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Marco Cremonesi

Il leader della Lega non vuole fare da secondo a DI Maio e pensa a un ruolo da garante, esterno all’esecutivo e con uomini di peso del Carroccio a Palazzo Chigi, in modo da poter «staccare la spina» se qualcosa non andasse come deve


La pausa di riflessione di Matteo Salvini non si è ancora conclusa, il pressing del Movimento 5 stelle per ora non ha persuaso il segretario, anche se «oggi tutti tirano la Lega per la giacchetta». «Sono passati tanti giorni dal 4 marzo. Ma se ne servissero ancora un paio per fare le cose per bene… Non voglio sbagliare adesso per venirvi a chiedere scusa più tardi», dice Salvini. Ora spunta l’ipotesi del governo delle «mani libere».
La discussione, anche se non si vede, procede serrata. Non tanto con il centrodestra, che continua a proporre a Salvini la ricerca dei voti in parlamento come soluzione «quasi certa» della crisi. Quanto con gli alleati di governo alternativi, Luigi Di Maio e il Movimento 5 stelle. Il pressing stellato, infatti, continua a essere incalzante, i tempi stringono e il probabile incarico al capogruppo alla Camera del Movimento, Roberto Fico, rischia di respingere in alto mare le possibilità dell’intesa con la Lega, che pure fino a poche ore prima parevano alte. Il cambio del premier incaricato, infatti, modificherebbe anche i pesi e la direzione di marcia all’interno dei 5 stelle, appena passati dall’«uno vale uno» a una leadership più «tradizionale». Salvini, in primo luogo, non ha voglia di fare da secondo, e non senza il centrodestra. Un leghista ricorda i termini della questione: «I 5 stelle non possono pensare di avere tutto, il premier e la rottura del centrodestra». Ma appunto, gli stellati sono consapevoli del problema. E così, dopo la proposta di affidare alla Lega alcuni ministeri di rango massimo, suggeriscono anche un piano diverso, un’autentica «mossa del cavallo»: e cioè che, al contrario, Salvini rimanga del tutto fuori dal governo, con una sorta di veste da garante. Esprimendo ministri di peso, ma rimanendo personalmente fuori.
Il modello esplicitamente citato è quello del 1994, con Umberto Bossi che non partecipò al primo esecutivo di Berlusconi: «Pensa a quello — ricordano i pontieri dei 5 stelle a Salvini e ai suoi collaboratori —. Se qualcosa non andasse come deve andare, tu saresti nella posizione di staccare la spina al governo senza averne fatto parte». L’immancabile finale del ragionamento è che la Lega, dopo aver sfiduciato il governo di Berlusconi nel ‘94, alle elezioni del 1996 prese il massimo dei voti mai conquistati prima dell’era Salvini. Certo, resta il problema di come uscirebbe il leader leghista dal fuoco incrociato dei giornali e delle tv del Cavaliere. In Forza Italia già si sentono annunciare i titoli: «Salvini come Alfano». Il motivo, declinato in tutte le possibili varianti, con opinionisti e titoloni, sarebbe quello del tradimento. Ma i 5 stelle sanno anche questo. E dunque, sul piatto avrebbero messo anche postazioni di vertice in Rai, ad aggiungersi a quelle di altri enti e società governative. Non come posti di sottogoverno — dicono — ma come garanzia rispetto al passo di rottura con Silvio Berlusconi che Salvini sarebbe costretto a fare.
Ma, appunto, Salvini ancora non è convinto. I leghisti — non lui — nella discussione hanno anche lanciato una controproposta: la «staffetta». E cioè, che la legislatura parta con un governo guidato da Salvini. Poi, a metà mandato, con patto trasparente di fronte agli elettori sul modello «tedesco» proposto proprio dai 5 stelle, avverrebbe l’avvicendamento con Luigi Di Maio. Ma, appunto, Salvini lo ripete ai suoi sostenitori: «Non voglio sbagliare adesso per venirvi a chiedere scusa più tardi».

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