Fonte: Corriere della Sera
di Francesco Verderami
Il confronto dentro la maggioranza non trova sbocchi. Il punto è chi aprirà lo showdown e chi lo farà, tra il premier e il leader di Italia viva
Il punto è come si aprirà lo showdown e chi lo farà. Perché il resto è già scritto, è solo un logorante braccio di ferro tra Renzi, che usa la «tattica del cerino» per lasciare a Conte l’incarico di spegnerlo, e Conte che usa la «tattica del carciofo» per scaricare una alla volta le armi di Renzi contro il suo governo. Così, se da una parte il leader di Iv descrive minuziosamente come «il ragno dopo aver tessuto la ragnatela aspetta che la mosca ci finisca dentro», dall’altra il premier avvisa che lui al Colle ci sale «solo previa intesa formalizzata» per un Conte 3, «altrimenti preferisco andare in Parlamento». In mezzo ci sono i Cinquestelle e i democratici, sfibrati da mediazioni fallite e ultimatum disarmati. E se ancora non si sa chi e come aprirà lo showdown, è certo che Palazzo Chigi ha allertato i gruppi parlamentari e che Renzi ha annullato un viaggio a Parigi dov’era atteso martedì prossimo. Il vertice tra Conte e i capidelegazione sul Recovery plan non sarà oggi risolutivo, perché Renzi ha rilanciato sul Mes: «Il premier ci dica sì o no, visto che non ci ha risposto». E la convocazione della direzione servirà allo stato maggiore del Pd per compattare un partito attraversato da forti malumori. I segnali già ieri mattina facevano intuire lo stallo nella trattativa. D’un colpo Italia viva era rimasta isolata: saltati i contatti con il Pd, con i grillini e ovviamente con Palazzo Chigi, da dove perveniva solo la nuova bozza del Recovery plan e l’avviso che «entro ventiquattr’ore» si sarebbe tenuto il vertice di governo. Un messaggio da «dentro o fuori», seguito dall’avvertimento di Bettini che spiegava come ci fosse ormai «poco tempo», che «il premier non si tocca» e che «se qualcuno rompesse, sarebbe il Parlamento e poi eventualmente l’elettorato a decidere se Conte dovrà continuare a lavorare al servizio della Repubblica».
«Stanno cercando di metterci paura con i Responsabili», è stata la spiegazione di Renzi ai dirigenti del suo partito: «Se il premier mira alla conta in Parlamento per poi andare alle elezioni, vorrà dire che per lui in futuro ci saranno solo le lezioni universitarie. E la politica andrà avanti. Ora daremo la risposta che si meritano». Così Iv pubblicava una nota con cui chiede a Conte di «lasciare la delega per i servizi», specificando che «va fatta chiarezza sulle visite a Roma di William Barr», l’attorney general dell’amministrazione Trump che nell’estate del 2019 incontrò — fuori da ogni protocollo — gli 007 italiani. Attaccare il presidente del Consiglio ripescando l’oscura vicenda che ruota attorno al Russiagate e alimenta da tempo le voci sui rapporti tra il presidente americano uscente e «Giuseppi», era il segnale che il leader di Iv non accetta di piegarsi alle richieste per la nascita di un Conte 3.
L’affondo metteva in imbarazzo il Pd, dove peraltro covava il malcontento per il modo in cui il premier la notte prima si era mosso dopo i gravi incidenti di Washington. Raccontano che i dem avessero dovuto esercitare fortissime pressioni perché il premier commentasse rapidamente le violenze di Capitol Hill. E nel silenzio di Palazzo Chigi era stato il titolare della Difesa Guerini a prendere subito posizione, prima che il Pd chiedesse alla Farnesina di emettere un comunicato. «Ma io — aveva risposto Di Maio — aspettavo Conte». E quando finalmente — dopo il responsabile degli Esteri — era arrivata la nota del premier, i democratici erano rimasti sconcertati: «Un altra figuraccia, come la sera della vittoria di Biden…». Il fatto che l’altra notte Conte non avesse detto «qualcosa di più» sugli incidenti negli Stati Uniti — come ha chiesto ieri a La7 il vice segretario del Pd Orlando — aveva scavato ulteriormente il solco dei dubbi e dei sospetti tra i dem sui motivi che spingevano Conte a resistere sul mantenimento della delega sui servizi. La mossa di Renzi non faceva che mettere sale sulla ferita, perché il leader di Iv sottolineava come «i fatti di Washington testimoniano che la sicurezza nazionale è tema centrale. E non si può non notare che, nel commentare gli avvenimenti americani, Conte non abbia citato le responsabilità di Trump». Ecco il motivo per cui ieri sera esponenti autorevoli del Nazareno di radice non renziana imprecavano: «Anche su questo ci siamo fatti scavalcare da Matteo». E «Matteo» affondava ancora il colpo: «Che responsabilità ho se si sono stretti a Conte, che sta con Trump sulla politica estera. Manca solo che facciano un selfie con lui e BoJo sulla Brexit e possono fondare il partito dei social-populisti». Se questa è una coalizione…