Fonte: Corriere della Sera
di Emanuele Buzzi e Marco Cremonesi
Il muro di Lega e M5S su Savona. Il Movimento è allineato: «Non vogliamo subire i diktat di nessuno», ma spunta anche il nome di Geminello Alvi
Un braccio di ferro che ha bisogno ancora di tempo per sciogliersi e che coinvolge due tra i ministeri più importanti del futuro governo Conte: l’Economia e, di riflesso, gli Esteri. Il nome di Paolo Savona per il Mef è ancora in cima alla lista dei papabili ministri, al punto che — dopo un tentennamento iniziale più che altro del Movimento verso soluzioni differenti — ieri Lega e 5 Stelle sono tornati a fare muro. «Savona è una garanzia per gli italiani», ha detto Matteo Salvini. «Il ministro dell’Economia sarà Savona», ha ribadito Giancarlo Giorgetti. E il Movimento è allineato: «Non vogliamo subire i diktat di nessuno».
Il pressing
In realtà la pressione su Savona rimane alta. L’economista, che ha lasciato il fondo Euklid per «impegni pubblici», è sempre nel mirino, al punto che sono stati ventilati eventuali piani b: l’ipotesi principale (che la Lega continua a escludere) vede Giorgetti all’Economia con il braccio destro di Di Maio, Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ma c’è anche chi fa il nome dell’economista Geminello Alvi. Scenari che ieri i due partiti di maggioranza bollavano come «alquanto improbabili». Il pressing su Savona si collega indirettamente a un altro possibile smottamento nel totoministri. «Il nostro deve essere un governo del popolo, non vogliamo ministri legati all’establishment», lanciano l’affondo i 5 Stelle. E chiedono di rivedere alcuni dicasteri.
L’altra grana
A farne le spese potrebbe essere Giampiero Massolo, da tempo indicato alla Farnesina. «Al momento non risulta in squadra», dicono i rumors di palazzo. Potrebbe però essere un bluff, un tentativo di alzare la posta. Intanto — come di routine — già si rincorrono le indiscrezioni su un nuovo aspirante ministro degli Esteri: qualcuno ipotizza che l’incarico possa andare a Luigi Di Maio, ma il Movimento smentisce. Tuttavia il capo politico M5S è nel mezzo, suo malgrado, di un’altra grana del domino-candidature, quella relativa all’accorpamento di Lavoro e Sviluppo economico: una soluzione che la Lega osteggia rivendicando il dicastero guidato da Giuliano Poletti. Il leader 5 Stelle glissa: «Noi stiamo cercando le migliori risorse per la squadra di governo. Non ci sono persone da una parte o dall’altra: io e Salvini siamo d’accordo su tutto».
«Sviluppista» Bonomi
Matteo Salvini, nella riunione con i suoi deputati ai gruppi della Camera non parla di ministri e ministeri. L’unica nota che, sull’argomento, venga da lui è sulla possibilità che possa diventare, insieme con Di Maio, vice premier. La risposta sarebbe stata «anche no». Una posizione analoga la esprimono anche i 5 Stelle, convinti che «il triumvirato è politicamente inutile in questa fase». Quello che ai leghisti ha preso a stare a cuore sul serio, anche su iniziativa del partito nelle tradizionali roccaforti al Nord, è il tema delle infrastrutture. Non vogliono neppure sentir parlare del fatto che il ministero che dovrebbe fare da motore alle grandi opere possa andare a chi ha un curriculum da No Tav come Laura Castelli. La pressione per ottenere l’incarico per l’assai più «sviluppista» Giuseppe Bonomi è forte. Dal Movimento bollano però la definizione delle caselle della squadra di governo come «una questione naturale, in questo momento secondaria» rispetto alle altre urgenze. La partita su Istruzione, Sanità, Infrastrutture sarà chiusa solo dopo aver risolto i temi centrali per gli equilibri del governo.
Spirito di collaborazione
In tema di ministeri, con ieri si chiude ufficialmente una discussione che ha tenuto banco per mesi. E cioé, il futuro ruolo dell’ex ministro ed ex governatore lombardo Roberto Maroni, predecessore di Salvini sia alla guida della Lega che (probabilmente) al Viminale. L’ex presidente della Regione Lombardia si dice molto soddisfatto perché l’incontro «chiude una fase di incomprensioni e di rapporti complicati» che si era innescata soprattutto dopo che Maroni aveva annunciato di non volersi ricandidare alla guida della Lombardia. L’ex ministro dell’Interno dice di avere dato qualche «suggerimento» a Salvini, soprattutto sulle meccaniche che regolano un ministero delicato come l’Interno: «Ovviamente, io darò tutte le mani che potrò, ma in spirito di assoluta collaborazione, se servirà». E così, secondo Maroni la chiusura della faticosa gestazione del governo «sgombera finalmente il campo dai molti retropensieri» nati con la sua non ricandidatura.