Con quasi 1,3 miliardi di dollari donati nel solo biennio 2022-2023 gli Usa hanno un peso di oltre il 10% sui fondi complessivi dell’Oms
Detto, fatto. Lo aveva promesso in campagna elettorale e già nel giorno del suo insediamento lo ha realizzato: il 47° presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in polemica netta e quasi rabbiosa con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) soprattutto per la gestione del Covid, ha decretato con un ordine esecutivo l’uscita degli Usa da quell’Oms di cui il suo Paese è stato tra i fondatori nel 1948 ed è ancora oggi il principale finanziatore. Un primo atto di presa di distanza, forse, da tutte le Nazioni Unite ma intanto si comincia con l’organismo che presiede alla salute mondiale: nella prima settimana di febbraio è infatti in calendario l’Executive Board dell’Oms, passaggio necessario per notificare la decisione. E anche se tra la firma di questo decreto e l’uscita vera e propria dall’organizzazione, per le procedure dettate dalla legge Usa trascorrerà un anno, difficilmente il tycoon farà un passo indietro.
Il precedente in piena pandemia
Nel 2020 in piena pandemia e in polemica con la gestione dei rapporto Oms-Cina ci aveva già provato ma non gli era riuscito, complice la scadenza di mandato che aveva consentito al suo successore Biden di fare marcia indietro e quindi di restare nell’organizzazione. Questa volta, con la firma apposta da Trump nel primo giorno da presidente, ci sarà tutto il tempo per implementare a pieno la decisione. Una scelta che implica potenzialmente grandi ripercussioni sia sulla tutela della salute globale sia nei rapporti di forza tra potenze, con la Cina che già si candida a occupare lo spazio lasciato vuoto dal gigante americano.
Il peso di una potenza sanitaria
Con quasi 1,3 miliardi di dollari donati dagli Usa nel solo biennio 2022-2023 e un peso di oltre il 10% sulle donazioni complessive nel contesto di un budget Oms che nel 2024-2025 è pari a 6,8 miliardi di dollari, la scelta di Trump ha gettato tutti nel panico. Basta guardare le destinazioni di quei fondi: per oltre un quarto sono stati impiegati per migliorare nel mondo l’accesso a servizi sanitari essenziali, per interventi rapidi su emergenze di salute, per supportare innovazione, accesso a farmaci e vaccini o anche le strategie di prevenzione delle pandemie. Come andare avanti senza gli Stati Uniti? Immediata la richiesta dell’Organizzazione mondiale della sanità di “ripensarci”. Sia per l’improvviso venir meno di un apporto fondamentale al funzionamento della governance sanitaria nel mondo, sia per il timore di un effetto domino. Specialmente tra i fans della dottrina “Maga”. E infatti anche da noi in casa Lega si invita subito all’emulazione, con il senatore Claudio Borghi che – sul social X – sollecita a “uscire subito” dall’Oms.
Il “j’accuse” di Trump e la ricerca di nuovi partner sanitari
Il durissimo ‘j’accuse’ di Trump all’Oms si legge nero su bianco nell’ordine esecutivo che reca la data del 20 gennaio 2025, giorno dell’insediamento alla Casa Bianca: “Gli Stati Uniti avevano già comunicato il ritiro dall’Oms nel 2020 per la cattiva gestione della pandemia da Covid-19 e di altre crisi globali, per il suo fallimento nell’adozione di riforme urgenti e per l’inadeguatezza nel mostrarsi indipendente da inappropriate politiche di influenza da parte degli Stati membri. Ma intanto l’Oms continua a chiedere onerose e sproporzionate contribuzioni agli Stati Uniti mentre la Cina, con una popolazione di 1,4 miliardi di persone pari al 300% in più di quella Usa, versa un contributo inferiore di circa il 90% rispetto al nostro”. Una sproporzione che fa dichiarare a Trump di essere stato “defraudato”. E allora, se la scelta di abbandonare l’Organizzazione al suo destino durante la pandemia era stata poi revocata, gli Usa oggi la rinnovano e anzi il presidente tornato al comando fa di più: chiede di “identificare partners internazionali credibili e trasparenti per portare avanti le attività prima svolte dall’Oms” mentre sul piano interno incarica il direttore dell’Ufficio per la preparazione e risposta alle pandemie di “rivedere, rescindere e sostituire appena possibile” la Strategia di sicurezza sanitaria globale del 2024.
Gli appelli al presidente Usa per un ripensamento
Il cambio di passo Usa avrà forti ripercussioni, con la stessa Unione europea – quarta contribuente dopo Usa, Bill&Melinda Gates Foundation e Alleanza per i vaccini-Gavi – che si affida subito a un portavoce della Commissione per chiedere a Donald Trump di ripensarci: “Se vogliamo essere resilienti alle minacce globali per la salute, dobbiamo avere una cooperazione globale nel settore sanitario. Vediamo con preoccupazione l’annuncio del ritiro dall’Oms degli Stati Uniti e confidiamo che l’amministrazione statunitense considererà tutto questo prima del ritiro formale”, è l’auspicio dell’Unione europea che sembra però destinato a cadere nel vuoto. Ma la reazione politica più rilevante è proprio quella della Cina su cui punta l’indice Trump e che subito si è impegnata a colmare il vuoto lasciato dall’amministrazione Usa: “Il ruolo dell’Oms deve essere rafforzato e non indebolito” ha sottolineato il portavoce della diplomazia Guo Jiakun, aggiungendo che “la Cina, come ha sempre fatto, sosterrà l’Oms nel compimento delle sue missioni” per promuovere “la salute dell’umanità”. Chissà quindi che la mossa del presidente Usa non si riveli un boomerang in termini di pesi e ruoli nel mondo. Non solo della salute.
L’Oms si difende e promette un rinnovamento
Intanto l’Organizzazione mondiale della sanità – guidata dal Dg etiopeTedros Adhanom Ghebreyesus – si difende e rivendica “un ruolo cruciale nella protezione della salute e della sicurezza della popolazione mondiale, compresi gli americani”, grazie alla capacità di “affrontare le cause profonde delle malattie”, di “costruire sistemi sanitari più forti” e di “individuare, prevenire e rispondere alle emergenze sanitarie, comprese le epidemie, spesso in luoghi pericolosi dove altri non possono arrivare”. Gli Usa, ricorda, insieme ad altri 193 Stati membri per oltre sette decenni “hanno salvato innumerevoli vite e protetto gli americani e tutte le persone dalle minacce alla salute. Insieme abbiamo debellato il vaiolo e portato la poliomielite sull’orlo dell’eradicazione. E – sottolineano ancora dall’Oms -. le istituzioni americane hanno contribuito e beneficiato dell’adesione all’Organizzazione”. Poi, rispetto alle accuse del neo presidente, non nuove e non isolate nei confronti di un’Organizzazione che negli ultimi decenni non aveva brillato per indipendenza e trasparenza – la promessa implicita di un’ulteriore capacità di rinnovamento: “Con la partecipazione degli Stati Uniti e di altri Stati membri, negli ultimi 7 anni l’Oms ha implementato la più ampia serie di riforme della sua storia, per trasformare la responsabilità, il rapporto costo-efficacia e l’impatto nei paesi. Questo lavoro continua. Ci auguriamo che gli Stati Uniti ci riconsiderino e non vediamo l’ora di impegnarci in un dialogo costruttivo per mantenere questa partnership a beneficio della salute e del benessere di milioni di persone in tutto il mondo”.
Il piano pandemico e il Trump factor
“Per l’Oms significa un shock finanziario non indifferente perché gli Usa sono in assoluto il primo finanziatore sia per contributi obbligatori, cioè quelli che gli Stati devono dare in ragione del loro Pil e del loro status economico, sia in termini di contributi volontari. Stiamo parlando di circa 800 milioni di dollari l’anno, poco oltre il 10% del finanziamento dell’Organizzazione”, spiega Nicoletta Dentico, direttrice del programma di salute globale di Society for International Development (Sid). “Già da un anno e mezzo sul negoziato per il Trattato pandemico c’era l’idea di dover arrivare rapidamente a una firma, prima che il ‘Trump factor’ rendesse tutto più complicato. Ed è proprio dalle sue accuse di asservimento dell’Oms alla Cina che è partito tutto: secondo Trump l’Organizzazione sarebbe stata eccessivamente blanda nei confronti del gigante asiatico, con il Dg etiope Tedros poco muscolare e troppo diplomatico quando si trattò di persuadere la Cina a consegnare dati e informazioni sul virus”.
La guerra fredda alla Cina sottotraccia
Ma la vera partita, fatte salve le critiche sulla governance della pandemia, si giocherebbe su un piano più ampio e strategico. “Al di là dei temi sanitari – prosegue Dentico – durante la pandemia Trump ha ben compreso che l’Oms è un terreno molto debole, sul quale può giocare la sua partita politica contro la Cina. La battaglia che sta conducendo, al netto delle critiche che possono essere rivolte all’Oms, è in realtà parte di una guerra fredda contro Xi Jinping. Che si gioca non tanto sulla pandemia e sull’origine del Covid ma sul fatto che l’Oms è al tempo stesso un’agenzia sì cruciale in quanto si occupa di salute mondiale ma anche indebolita per l’alto tasso di partecipazione di contributors privati. Un terreno utile, quindi, da usare come scacchiera nella partita con la Cina nella riproposizione di una nuova guerra fredda”. Ma sul piano strettamente sanitario quali saranno per gli Usa le conseguenze dell’isolazionismo? “L’Oms non opererà più sul territorio statunitense – afferma l’esperta -: se ci saranno pandemie o altre crisi, gli Stati Uniti dovranno vedersela da soli. Pare incredibile ma è una scelta perfettamente inserita nella logica Maga. Un grande fraintendimento, perché non c’è niente come la salute che non implichi collaborazione internazionale. Virus, patogeni e pandemie non conoscono né confini né ideologie e la scelta di Trump penalizzerà in primis gli americani”.