Fonte: Corriere della Sera
di Franco Venturini
L’Italia può fare da sola. Non è così. Piuttosto, è vero che quello dell’immigrazione potrebbe diventare il primo e più importante terreno di collaudo delle integrazioni differenziate di cui tanto si parla
L’impatto dei flussi migratori sta disegnando l’Europa del futuro molto più delle vaghezze di Bratislava. Con quattro cruciali campagne elettorali di fatto già in corso in Italia, Olanda, Francia e Germania, e con Eurostat che conferma come la questione dei migranti sia al primo posto nelle preoccupazioni dei cittadini della Ue, prima del terrorismo, prima della disoccupazione, diventa inevitabile che i politici europei, governi in testa, rincorrano le paure dei loro elettori.
Ecco allora che si moltiplicano muri e reticolati o almeno severi controlli alle frontiere, ecco le caute inversioni di marcia dove prima veniva issata la bandiera dell’accoglienza, ecco il silenzio complice che accompagna il blocco di questo o quel confine nazionale. E soprattutto ecco riunioni scandalose come quella di sabato a Vienna, dove i «Paesi interessati» hanno dichiarato, nelle parole di Tusk, chiusa per sempre la rotta dei Balcani. Come se le rotte dei migranti non fossero interdipendenti, come se il problema non fosse di tutti a cominciare dall’Italia (ma da Roma non sono venute proteste o polemiche). Quello che appena un anno fa era un durissimo braccio di ferro tra Angela Merkel che apriva la Germania ai siriani, la Svezia che accoglieva, l’Italia e la Grecia che salvavano i migranti da morte certa, e dall’altra parte le fortezze della razza e della religione arroccate nell’Europa dell’Est, oggi è diventato un consenso strisciante a favore del «basta migranti».
Non sorprende più che il sistema delle quote sia miseramente fallito e che dei 160 mila migranti che dovevano essere «ricollocati» per alleviare il fardello di Italia e Grecia soltanto 5 mila lo siano stati davvero. Ora la Merkel promette di rimediare proprio con i rifugiati bloccati in Italia e in Grecia, la speranza è lecita. Ma non suscita più animati dibattiti nemmeno il fatto che la Turchia tenga in ostaggio la Germania e altri soci europei perché una mancata abolizione dei visti nei prossimi mesi potrebbe indurre Erdogan a «liberare» i circa tre milioni di rifugiati oggi ancora bloccati sul suolo turco. Tanto, pensa forse qualcuno, la rotta dei Balcani è bloccata.
Basta guardarsi intorno per capire fino a che punto l’atteggiamento verso i migranti sia diventato quasi uniforme. La signora Merkel rifiuta di fare autocritica per evitare un suicidio elettorale, ma i dissidi nel suo stesso partito e le batoste già incassate a livello regionale la inducono a ripiegare su una linea più dura pur ribadendo, come ha fatto a Vienna, che il problema è di tutti e va risolto con accordi con i Paesi di provenienza. La Cancelliera può ancora permettersi un accenno di doppio gioco, forte del fatto che gli arrivi sono più che dimezzati rispetto al milione del 2015 e che le espulsioni di chi non ha diritto al titolo di rifugiato vengono attuate con puntualità teutonica.
La Francia di Hollande accetta che gli inglesi paghino la costruzione di un muro sul loro territorio, attorno alla «giungla» di Calais. E quanto alle presidenziali di maggio la competizione si svolge tra la destra estrema di Marine Le Pen e gli esponenti del centro-destra che la rincorrono. In Olanda si vota a marzo, e in testa ai sondaggi c’è l’estrema destra anti-migranti e anti-Europa di Geert Wilders. In Austria il ballottaggio per eleggere il presidente avrà luogo ai primi di dicembre, favorita l’estrema destra di Norbert Hofer. La Svezia ha fatto sapere di essere giunta al tetto della sua capacità di accoglienza. La Spagna si protegge dietro reti altissime nell’enclave di Ceuta e Melilla, e aspetta di sapere se dovrà tornare alle urne per la terza volta quest’anno.
E poi c’è il gruppo di Visegrad. L’Ungheria, la Polonia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia che prima di ogni riunione europea si coordinano tra loro e poi parlano da blocco a se stante, che rifiutano l’accoglienza di migranti islamici ma vogliono che i loro cittadini possano andare liberamente nella Gran Bretagna della Brexit, che ricevono lauti sostegni finanziari da Bruxelles ma vedono nella Ue una «nuova Mosca» .
E L’Italia? L’Italia, come la Grecia, ha le mani legate dietro la schiena. Perché le sue coste sono bagnate da un mare caldo e spesso tranquillo chiamato Mediterraneo. Dall’altra parte c’è l’Africa delle mille tragedie, delle guerre, delle dittature, ma anche delle siccità e della miseria endemica. E ci sono anche quei siriani o afghani che hanno rinunciato alla rotta balcanica ripiegando su quella libica. O egiziana, come dimostra la strage dei giorni scorsi per un barcone sovraccarico.
La geografia ci impone un dilemma tra il soccorso ai migranti e il loro abbandono a una sicura morte. La scelta è obbligata per un Paese civile, e dobbiamo essere fieri che l’Italia l’abbia fatta senza tentennamenti. Ma l’etica non risolve i problemi. Basta dare una occhiata alle strategie alternative, tanto diverse da quelle di chi deve pensare soltanto a confini terrestri. Il modello australiano (confinare i migranti su un’isola fortificata) non si adatta alle isole italiane, se non altro per le diverse distanze dalla terraferma. Un blocco navale davanti alla Libia per impedire la partenza dei barconi sarebbe per il diritto internazionale un atto di guerra, e per renderlo efficace evitando il dilemma salvezza-abbandono bisognerebbe occupare militarmente, nel mezzo di una guerra civile, gran parte della costa e dei porti. Impensabile, a meno che lo faccia l’Europa con il placet dell’Onu. Aiuti all’Africa, ai Paesi di provenienza? Sì, se si tratta di ottenere il placet al rimpatrio dei migranti economici. Ma se si volessero modificare le condizioni economiche locali nel migliore dei casi ci vorrebbero parecchi anni.
Matteo Renzi ha ragione, quando si scandalizza perché l’Europa che pensa molto ai Balcani pensa pochissimo al Mediterraneo. E ha ragione anche quando spiega (semmai troppo di rado) che nessuno farebbe diversamente al posto suo, perché per fortuna l’Italia non è ancora pronta a uccidere voltandosi dall’altra parte. E chi pensa che lo sia, dovrebbe avere il coraggio di dirlo. Ma il presidente del Consiglio sbaglia bersaglio quando dà l’impressione di confondere diritti sacrosanti dell’Italia sul tema dei migranti e richieste di flessibilità contabile o, peggio, scontate delusioni da «direttorio» che ora saranno forse alleviate dai segnali di pace di Angela Merkel sull’accoglienza dei rifugiati. E sbaglia, Renzi, anche quando afferma che l’Italia può fare da sola. Non è così. Piuttosto, è vero che quello dell’immigrazione potrebbe diventare il primo e più importante terreno di collaudo delle integrazioni differenziate di cui tanto si parla. Il pericolo è che per fare sul serio si debba attendere la fine del 2017. E che per allora non si possa più fare sul serio.