22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Accantonati alcuni sogni (un reddito di cittadinanza per chiunque) e alcuni errori (una medesima aliquota d’imposta per i ricchi e i poveri, così bassa da ridurre smisuratamente il gettito fiscale) siamo tornati, con la legge di Stabilità, al solito quesito: quanto tagliare la spesa per poter ridurre un po’ la pressione fiscale, dato che un debito pubblico straordinariamente elevato non consente scorciatoie. Nulla di nuovo: ogni governo negli ultimi vent’anni si è trovato a dover risolvere questo dilemma.
In passato i governi scrivevano la legge di Stabilità accettando la premessa che il nostro rapporto debito-Pil, uno dei più alti al mondo, deve essere ridotto. Non sempre ci riuscivano, ma quello era l’obiettivo. Era sufficiente annunciarlo in modo convincente perché gli investitori continuassero ad acquistare i nostri titoli pubblici.
La posizione del ministro dell’Economia è in linea con questa tradizione: Giovanni Tria ha tranquillizzato (per ora) i mercati. Si è trovato però a dover lottare contro una sequenza quasi giornaliera di dichiarazioni improvvide dei due vice-presidenti del Consiglio. I loro proclami hanno provocato un innalzamento dei tassi di interesse: un punto percentuale in più (sui tassi decennali) da fine maggio a oggi. Chi presta denaro all’Italia evidentemente dubita che Lega e M5S vogliano veramente ridurre il debito.
Il risultato è che da maggio i titoli pubblici sono diventati più costosi e i cittadini pagheranno tasse più elevate. Non solo: poiché i tassi di interesse a diverse scadenze sono collegati, le famiglie pagheranno di più sui mutui, e le imprese di più sui finanziamenti bancari.Siamo dunque tornati al punto di partenza: come scrivere una legge di Stabilità che consenta di far sì che il rapporto fra debito e Pil, seppur lentamente, scenda.
Per capire i margini entro cui il governo si può muovere occorre comprendere come lo Stato spenda ogni anno circa 780 miliardi di euro, più altri 70 per pagare gli interessi sul debito. La parte preponderante della nostra spesa pubblica è dedicata alla protezione sociale, il 46,5 per cento della spesa al netto degli interessi, due punti più che in Germania (Ocse, 2016). Ciononostante il nostro welfare riduce il numero di persone esposte al rischio di povertà di soli 6 punti, dal 26 al 20 per cento, contro i 10 della Germania (Eurostat, 2016). Essere a rischio di povertà non significa essere poveri (i poveri sono circa il 7 per cento della popolazione) ma correre il rischio di diventarlo. Il primo problema quindi è spendere meglio, non spendere di più. Anzi, si potrebbe spendere meno e nel contempo ridurre la povertà. Per esempio non fornendo più servizi a prezzi sussidiati (come sanità e università) a tutti indipendentemente dal loro livello di reddito.
Secondo punto, le pensioni. Salvini vuole abbassare di due anni l’età minima per andare in pensione, portandola a 62 anni. La proposta di Alberto Brambilla, esperto di pensioni della Lega, è quota 100, cioè 64 anni con 36 di contributi. Questa proposta verrebbe a costare fra i 3 e i 3,5 miliardi di euro l’anno. L’ipotesi di Salvini, secondo le stime di Stefano Patriarca, esperto di previdenza, 9 miliardi il primo anno, 13 a regime. Far sì che le persone possano decidere di andare in pensione anche prima dei 62 anni, è sacrosanto: ma a patto che accettino una pensione consona con i contributi versati. Altrimenti sarebbe un furto a danno delle generazioni future. Spendiamo per pensioni e assistenza agli anziani metà della spesa destinata alla protezione sociale (il 57%): è la percentuale più elevata fra i paesi Ocse dopo la Grecia, ben 4 punti di pil più che in Germania (Silvia Gatteschi, Osservatorio di Carlo Cottarelli). Con questi dati spendere ancora di più per pensioni non è certo una priorità. Se aumenta l’aspettativa di vita l’unica alternativa è lavorare più a lungo.
Terzo: si chiedono più risorse per investimenti pubblici. In questo caso la realtà è l’opposto: di risorse ce ne sono fin troppe, il problema è che lo Stato non sa usarle. Dopo la forte caduta degli investimenti pubblici durante gli anni della crisi, le leggi di Stabilità 2016 e 2017 hanno rifinanziato la spesa per infrastrutture. A «legislazione corrente», cioè con norme che sono già in vigore e a suo tempo vennero approvate dall’Europa, i fondi disponibili ammontano a circa 150 miliardi di euro, una cifra molto grande, quasi il 10 % del Pil. Di queste risorse per ora non è stato speso neppure un euro. Il motivo è che la loro ripartizione (quanto al Veneto, quanto alla Sicilia, quanto alle scuole, quanto agli argini dei fiumi) richiede tempi lunghissimi. Ora però è stata completata e si possono bandire le gare d’appalto. Il che non significa che i 150 miliardi possano essere spesi subito. Ci vorranno mesi per iniziare le opere appaltate e anni perché esse vengano completate.
Infine l’Irpef. Le aliquote possono essere ridotte aumentando la base imponibile e riducendo evasione ed elusione. Non c’è governo della Prima, Seconda e Terza Repubblica che non abbia dichiarato che la lotta all’evasione è una priorità, con diversi livelli di sincerità e risultati piuttosto scarsi. Vedremo se questo governo saprà far meglio degli altri. In realtà la lotta all’evasione non è una priorità per la Lega, che chiede invece una «pace fiscale», termine che pare un eufemismo per regalare un condono agli evasori. La lotta all’evasione dovrebbe invece essere una bandiera del M5S, se veramente desidera difendere i più deboli. Bisogna ridurre anche l’elusione, cioè l’uso legale di una miriade di detrazioni: sono troppe le categorie che negli anni sono riuscite ad ottenere qualche vantaggio. Un paio di esempi. L’imposizione forfettaria sul reddito per le navi iscritte nel registro internazionale, una misura che riguarda solo 99 contribuenti con un beneficio pro-capite di 144 mila euro. La «detrazione forfettaria del reddito imponibile e dell’Iva per le associazioni sindacali operanti nel settore agricolo relativamente alle attività di assistenza rese agli associati» che riguarda 216 contribuenti con un beneficio pro-capite di 370 euro. (Senato delle repubblica, ufficio valutazione impatto). Ma ce ne sono tantissimi altri.
Dopo tanti frenetici annunci fatti durante la campagna elettorale e negli scorsi mesi, il governo ha di fronte una dura realtà: la stessa che si è imposta a tutti i governi precedenti.Non è ovvio che quello attuale possa far meglio. Certamente illudere i cittadini alla lunga non paga nemmeno da uno stretto punto di vista elettorale.

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