19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

LaPresse - La Stampa

di Angelo Panebianco

Tutti coloro che sono impegnati nel tentativo di liquidare Matteo Renzi, con la vittoria del No, in realtà hanno come obiettivo quello di tirare a campare

Possiedono una strategia per il dopo, hanno una qualche idea su che cosa fare in caso di successo, tutti coloro che sono impegnati nel tentativo di regicidio, coloro che puntano alla vittoria del No al referendum con lo scopo di liquidare politicamente Matteo Renzi?
Bisogna distinguere. I Cinque Stelle una strategia ce l’hanno, eccome. Sanno che una vittoria del No aprirebbe loro la strada del governo. Non subito ma a breve termine: dopo le elezioni che seguirebbero al ridimensionamento politico di Renzi e all’immancabile fallimento di un breve e pasticciato tentativo di grande coalizione. Hanno anche idee su come agire e cosa attuare una volta impadronitisi del governo. Lasciamo stare il fatto che secondo chiunque non faccia parte di quel Movimento, l’applicazione di tali idee avrebbe effetti negativi sulla società italiana. Resta che una strategia i Cinque Stelle la possiedono. E gli altri? Che dire della sinistra del Partito democratico? Che dire del centrodestra? La strategia di tutti costoro, ammesso e non concesso che la si voglia chiamare così, si riduce a una cosa sola: sopravvivere, tirare a campare (sempre meglio che «tirare le cuoia», diceva Giulio Andreotti ). Questo è il vero significato del ritorno alla proporzionale che questi gruppi imporrebbero nel caso di vittoria del No. La proporzionale ha questo di vantaggioso: assicura la sopravvivenza anche a partiti e partitini che non hanno più molto da dire o da offrire al loro Paese.
La proporzionale «conserva» indefinitamente o quasi ciò che c’è, consente a tanti di galleggiare, di tirare a campare per l’appunto. Prendiamo la sinistra del Pd. Renzi lamenta che coloro che ne fanno parte sono fedeli alla «ditta» e leali nei suoi confronti ma solo se la comandano loro. È vero ma, in un certo senso, è anche normale che sia così. Per i suoi oppositori interni Renzi è un usurpatore, uno che si è preso il partito senza chiedere loro il permesso, senza nemmeno inginocchiarsi e baciare l’anello. Lo considerano un usurpatore perché egli ha mandato in pezzi la ragione sociale del Partito democratico, ha reso obsoleto lo scopo per cui quel partito era nato. Il Pd era stato il frutto di un compromesso fra post comunisti e ex sinistra democristiana allo scopo di assicurarne la sopravvivenza e la riproduzione in quanto gruppi dirigenti. Renzi rappresenta (non del tutto ma in larga misura) la negazione del «contratto sociale» originario da cui nacque quel partito. Da qui l’atteggiamento del tipo «Muoia Sansone con tutti i Filistei» che è proprio degli oppositori interni di Renzi. Una volta eliminato l’usurpatore sperano di riuscire a impadronirsi, grazie al caos che ne seguirebbe, di qualche sgabello che assicuri loro, per un po’ di tempo almeno, la sopravvivenza politica.
Il centrodestra ha problemi e motivazioni diverse. Ma il risultato è identico. La maggior parte dei suoi esponenti ha in fondo lo stesso scopo della sinistra del Pd: posizionarsi in modo da sopravvivere alla caduta di Renzi. Il centrodestra, alle prese da anni con il problema, forse irrisolvibile, della successione a Silvio Berlusconi, è diviso fra coloro che non se la sentono di seguire le sirene dell’estremismo (molti, almeno fino alla sua sconfessione da parte di Berlusconi, avevano puntato su Stefano Parisi) e quelli che, seguendo la Lega di Matteo Salvini — a maggior ragione ora, dopo la vittoria di Trump — pensano che solo le posizioni estreme siano, in questa fase storica, paganti, elettoralmente remunerative. Potrebbero avere ragione.
Se non fosse che, quando si tratta di estremismo, Grillo e i suoi sono assai più credibili e, a questo punto, assai meglio posizionati. È questo il vero grande punto di debolezza della posizione di Salvini e di coloro che, anche in Forza Italia, lo emulano. Quando li si sente parlare si fa fatica a distinguere la loro posizione da quella dei Cinque Stelle. Essi si trovano così nello scomodo ruolo dei portatori d’acqua, di coloro che lavorano per la vittoria finale dei grillini, lo sappiano o no: chi l’ha detto che in politica non ci sono altruisti, non c’è gente che si impegna per il successo di qualcun altro?
Sì, ma la proporzionale, dicono alcuni, servirà appunto a bloccare l’ascesa dei Cinque Stelle: consentirà a tutti gli altri di fare muro contro di loro. I precedenti storici non danno ragione a chi sostiene questa tesi. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX , in diversi Paesi europei vennero abbandonati i sistemi elettorali maggioritari fino ad allora in vigore e sostituiti con la proporzionale: lo scopo, almeno in alcuni casi, era quello di bloccare la crescita dei partiti socialisti.
I vecchi partiti conservatori e liberali adottarono la proporzionale perché minacciati elettoralmente da competitori temibilissimi, la cui ascesa — essi pensavano — sarebbe stata irresistibile senza lo «sgambetto» della proporzionale. Si trattò di un calcolo sbagliato. Ad esempio, nei Paesi scandinavi, il passaggio alla proporzionale non riuscì affatto a bloccare la crescita elettorale dei socialisti e a tenerli a lungo lontani dal governo. Ma la storia, si sa, interessa poco ai politici (e al grosso dei loro elettori) per i quali conta soltanto il presente.

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