La questione del salario minimo è tornata in cima alle agende delle parti sociali e della politica venerdì scorso, complice un dibattito a Futura 2021. Sul palco della tre giorni organizzata dalla Cgil le posizioni del segretario generale Maurizio Landini e quelle dei leader del M5S e del Partito democratico, Giuseppe Conte ed Enrico Letta, sono sembrate avvicinarsi. A riportare d’attualità il tema sono anche le pressioni dell’Europa (il consiglio europeo sta cercando una mediazione per arrivare a definire una direttiva che poi gli Stati dovrebbero recepire). Gli ostacoli sulla strada del salario minimo, però, restano numerosi.
1 A quanto dovrebbe ammontare? E a chi toccherebbe definirlo?
A portare alla ribalta il tema del salario minimo è stato il «lavoro povero»: dipendenti che, pur lavorando a tempo pieno, hanno retribuzioni non allineate al costo della vita. Un fenomeno acuito dalla crisi del 2008. Dal 2013 il salario minimo è diventato una delle bandiere del M5S, insieme con il Reddito di cittadinanza. E lo è rimasto tuttora: di recente la ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha depositato in Senato un nuovo Disegno di legge, aggiornamento di un testo presentato nel 2019. Sempre nel 2019, in Senato, anche il Partito democratico presentò un disegno di legge. Le «ricette» del salario minimo di M5S e Partito democratico, però, sono sempre state diverse. Per il M5S il salario minimo va definito dal parlamento per legge: di qui la proposta dei 9 euro lordi. Il testo del Pd guidato da Zingaretti dava invece un tempo alle parti sociali per concordare i criteri di misurazione della loro rappresentanza. Solo in caso di mancata intesa il salario minimo sarebbe stato calato dall’alto.
2 Cosa impedisce a sindacati e imprese di definire il salario minimo?
In seguito a mettere il dossier «salario minimo» in fondo alle priorità della politica ha contribuito la forte opposizione delle parti sociali. Dalla Cgil a Confindustria: tutte considerano una delegittimazione l’imposizione dei minimi per legge. E rilanciano: «I minimi li definiamo noi con i contratti nazionali». Il problema è che oggi i contratti nazionali sono 985. E continuano ad aumentare. I contratti che definiscono il salario minimo dovrebbero essere quelli firmati da associazioni rappresentative. I sindacati nel 2014 hanno condiviso con un accordo i criteri per farsi «misurare». Ma l’intesa non mai stata applicata. Le associazioni datoriali a oggi non hanno nemmeno individuato i criteri. Un punto di riferimento potrebbero essere quelli con cui le associazioni si «pesano» nelle Camere di commercio.
3 Quali sono i settori con il maggior numero di contratti pirata?
Nel 2016 i contratti erano 780 oggi sono 985. I contratti si sono moltiplicati soprattutto nel commercio: qui cinque anni fa erano 189 oggi sono 274. Meno della metà dei 985 contratti collettivi nazionali sono dichiarati all’Inps.
4 Gli ostacoli sono finiti qui?
No. L’articolo 39 della Costituzione dice che solo i sindacati «registrati» possono stipulare contratti con validità erga omnes. Si discute sul fatto che possa essere compatibile con la Costituzione l’estensione erga omnes dei soli minimi contrattuali contenuti in accordi firmati da sindacati non registrati.
5 Come hanno definito la questione gli altri Paesi europei?
Ventuno Stati su 27 hanno introdotto il salario minimo. La Germania ce l’ha dal 2015 e nel programma della Spd c’è il suo innalzamento a 12 euro l’ora. Oltre che in Italia il salario minimo non c’è nei Paesi scandinavi dove, come da noi, i contratti collettivi nazionali coprono la stragrande maggioranza dei lavoratori.