Fonte: Corriere della Sera
di Nuccio Ordine
Scuole e università senza la presenza viva di allievi e professori diventerebbero spazi vuoti, privi del soffio vitale
Tra tante incertezze, ho maturato una certezza: solo l’incontro con gli studenti, in aula, può dare un senso forte all’insegnamento e alla vita stessa di un docente. Non mi era mai capitato, in trent’anni di servizio, di immaginare lezioni, esami e lauree attraverso un freddo schermo. E mentre alcuni colleghi osannano alla didattica del futuro, avverto il disagio di chi abita un mondo in cui non ti riconosci più. Non parlo dell’emergenza: ora è inevitabile adeguarsi al virtuale per salvare dal disastro l’anno accademico. Alludo al coro dei cantori del progresso, dei professori manager, delle università telematiche la cui pubblicità inonda da marzo televisioni e giornali.
C’è chi esulta considerando la pandemia come un’occasione per compiere il tanto atteso salto in avanti e chi invece pensa con tristezza all’impossibilità di insegnare senza la presenza dei suoi studenti. Per questo provo una terribile pena di fronte al rischio di riprendere i corsi, in autunno, avvalendomi ancora della didattica digitale. Come potrò fare a meno dei riti essenziali che per decenni hanno dato gioia e linfa al mio insegnamento? Come farò a leggere un classico senza fissare negli occhi i miei studenti, senza riconoscere nei loro volti le smorfie di dissenso o i sorrisi di complicità? Basta una domanda insidiosa o uno sguardo perduto nel vuoto per mettere in crisi le tue sicurezze, per aiutarti a riflettere su cosa hai sbagliato. Perché anche i professori sono studenti che imparano. Scuole e università senza la presenza viva di allievi e docenti diventerebbero spazi vuoti, privi del soffio vitale.