22 Novembre 2024

Fonte: Sole 24 Ore

di Riccardo Ferrazza

In primavera la consultazione per confermare il taglio dei parlamentari. L’incrocio con il quesito leghista che introdurrebbe il maggioritario puro


Il nuovo anno della politica comincia il 12 gennaio. Quel giorno dovrebbero essere confermate le firme per avviare la procedura referendaria sulla legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari.
Tre giorni dopo, il 15 gennaio, il secondo appuntamento: la Corte costituzionale è chiamata a esprimersi sull’ammissibilità di un altro referendum, quello leghista sulla legge elettorale che abroga la parte proporzionale del sistema in vigore (il cosiddetto Rosatellum).

Il referendum costituzionale
Che impatto possono avere questi due possibili referendum sulla legislatura la cui scadenza naturale è nel 2023? Il primo potrebbe avere l’effetto di un detonatore. A raccogliere le firme necessarie per far svolgere il referendum costituzionale sulla legge approvata il 10 ottobre 2019b che porta i 945 seggi attuali a 600 sono stati 64 senatori, di cui 41 di Forza Italia, vale a dire un quinto del plenum di uno delle due assemblee legislative). Spetta alla Corte di Cassazione ratificare la legittimità della richiesta e alla Corte costituzionale dare il via libera: se l’esito fosse positivo il referendum (che dovrebbe svolgersi in primavera, tra fine aprile e giugno) bloccherebbe l’entrata in vigore del taglio, prevista per il 12 gennaio.

La finestra elettorale
Qui si apre lo scenario di voto anticipato. Perché il tempo guadagnato grazie al referendum costituzionale (sarebbe il quarto tenuto durante la storia repubblicana, dopo quelli del 2001, 2006 e 2014) potrebbe far lievitare tra i parlamentari la tentazione di tornare subito alle urne – anche se la decisione spetta ovviamente al Capo dello Stato – sfruttando il fatto che sarebbero ancora in vigore le regole attuali che assegnano quasi mille posti. Il referendum che riduce di un terzo i seggi si svolgerebbe comunque ma verrebbe rinviato all’autunno. Il premier Giuseppe Conte, durante la conferenza stampa di fine anno, si è dimostrato sereno sul tema referendum. «Non so se destabilizza verso eventuali elezioni. Ma il governo lavorerà fino all’ultima ora senza farsi distrarre da referendum».

Il referendum elettorale
Non è finita. Il referendum costituzionale potrebbe avere una seconda, non prevedibile conseguenza di carattere tecnico ma con ricaduta politica. Secondo alcune interpretazioni il congelamento della promulgazione del taglio dei parlamentari a gennaio rende più plausibile che la Corte costituzionale ammetta il 15 gennaio il referendum elettorale leghista: depositato lo scorso 30 settembre da otto regioni (Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Abruzzo) propone di eliminare dal Rosatellum la parte proporzionale lasciando solo i collegi maggioritari uninominali.
Il punto debole della proposta referendaria leghista è che la legge che ne scaturirebbe non è immediatamente applicabile, fatto che la renderebbe non ammissibile per i giudici costituzionali. Un problema così affrontato dal referendum stesso: un riferimento a una leggina che contiene una delega al governo per ridisegnare entro 60 giorni i collegi subito dopo l’entrata in vigore del taglio dei parlamentari. Il congelamento della legge costituzionale eviterebbe così il vuoto legislativo prodotto dal referendum elaborato da Roberto Calderoli.
In sintesi: lo slittamento del referendum costituzionale potrebbe causare la morte prematura della legislatura. Oppure innescare un secondo referendum (quello leghista) che si terrebbe come il primo in primavera: uno costituzionale e uno abrogativo, il primo senza quorum ed il secondo con quorum. Magari nella stessa data. Mai accaduto finora.

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