21 Novembre 2024

Il Mar Rosso, strategico per le economie mondiali, è in ostaggio. Gli Stati Uniti hanno schierato la flotta: cercano il contenimento, proteggono Israele e vorrebbero tutelare l’area

Il direttore della Cia William Burns si è recato a Mogadiscio, Somalia. Una visita ufficiale che evidenzia uno dei punti di un fronte bellico esteso. Parte dal Mediterraneo e si spinge fino all’Oceano Indiano.
Israele è in guerra con i palestinesi di Hamas a Gaza, l’Hezbollah libanese, le milizie filoiraniane e il regime siriano. Il duello è continuo con Teheran: in modo diretto oppure attraverso una «lotta per procura».
La Siria è aperta a mille guerre: quella civile, le incursioni dei turchi contro i curdi, le operazioni dei giordani nei confronti di contrabbandieri di droga, gli attacchi alle basi Usa da parte di gruppi amici di Teheran e la risposta americana con i bombardamenti, poi le centinaia di strike israeliani, infine la presenza letale dello Stato Islamico. Situazione analoga nel confinante Iraq, dove le fazioni sponsorizzate dagli ayatollah sono un contropotere in grado di agire anche più lontano.
Il Mar Rosso, così strategico per le economie mondiali, è in ostaggio. In Sinai agiscono gli jihadisti del Califfo, il Sudan è squassato dalla lotta tra governativi e milizie speciali con intromissioni di attori esterni, l’Egitto litiga con l’Etiopia per la diga sul Nilo e sempre gli etiopi cercano uno spazio al mare ai danni della Somalia. Che deve vedersela con i guerriglieri qaedisti Shebab e le influenze di protagonisti regionali. Il Corno d’Africa è più instabile che mai.
E ora la grande sfida degli Houthi dallo Yemen, nella doppia veste di alleati dell’Iran e di movimento autonomo in ascesa: nel mirino mercantili «collegati» a Israele. Un’operazione preceduta da missioni analoghe contro i sauditi. Evidente l’evoluzione: il movimento sciita è cresciuto, si è armato con la collaborazione dei mullah, ha allargato le proprie ambizioni innescando una ritorsione militare anglo-americana. Per gli esperti questi bombardamenti sono «cercati» dagli Houthi, per presentarsi quali veri antagonisti delle superpotenze e stringere la morsa sui loro «sudditi», repressi con durezza.
I pericoli per i traffici marittimi ci sono anche nel Golfo di Oman e poco più a sud: gli iraniani hanno colpito navi israeliane provocando gesti analoghi da parte dello Stato ebraico. Non di rado azioni senza assunzione di responsabilità. Chi deve sapere sa.
Negli ultimi giorni il «rilancio» di Teheran. Attacchi con missili e droni in Siria, Kurdistan iracheno e Pakistan: un messaggio rivolto a oppositori e nemici tradizionali (americani e israeliani), dimostrazione di sistemi a lungo raggio del suo arsenale ma anche pronti per l’export.
Nell’episodio pachistano, seguito dalla reazione di Islamabad, c’è di mezzo il Baluchistan, arena separatista a cavallo delle frontiere tra i due Paesi. Le imboscate degli insorti, mai domi, diventano il pretesto per mostrare i muscoli. È l’intreccio «perfetto»: storia antica innestata su eventi recenti con possibili ripercussioni internazionali. Tra i bersagli dei ribelli che operano in Pakistan ci sono gli operai cinesi, impegnati in colossali progetti economici.
Washington ha schierato la flotta, colpisce secondo copione quando serve, cerca il contenimento, protegge Israele e cerca di tutelare la via d’acqua del Mar Rosso. In zona incrociano molte unità di altri Stati. L’Unione europea, al solito, valuta. Russia e Cina sperano di raccogliere i frutti. Giustamente si auspicano soluzioni politiche, ricerca ostacolata dalle troppe crisi e dalla scarsa volontà di alcuni.

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