13 Gennaio 2025

I big della tecnologia in pellegrinaggio nella residenza di Mar-a-Lago del neopresidente americano. Cosa c’è dietro questa svolta

Tutti in pellegrinaggio a Mar-a-Lago. Re magi che portano doni per l’inaugurazione della presidenza Trump. Addirittura Mark Zuckerberg che abolisce il fact-checking nelle sue reti sociali: si uniforma esplicitamente alle regole della X dell’avversario Elon Musk.
I big della tecnologia in ginocchio. Per decenni hanno considerato la politica irrilevante: si sentivano liberi di ignorarla. Poi, quando Microsoft ebbe i primi guai con l’Antitrust, Bill Gates passò dal disprezzo alla diplomazia. Alla fine anche gli altri, da Facebook a Google, si adeguarono aprendo sedi a Washington e costruendo potenti (e ben finanziate) macchine lobbistiche.
La politica cominciava a contare, alzava la voce, poteva processare davanti al Congresso, in diretta tv, Zuckerberg per lo scandalo di Cambridge Analytica. Ma alla fine nulla cambiava nella sostanza: tutti a parlare di regolamentazione indispensabile, ma mai una legge.Con un Trump molto più forte e determinato di 8 anni fa, cambia tutto. Ma siamo solo davanti a imprenditori che con la forza del digitale e dell’intelligenza artificiale (AI) si sentono artefici di una trasformazione dell’umanità, salvo, poi, impegnarsi in un esercizio — il salto sul carro del vincitore — vecchio quanto il mondo? O c’è qualcosa di più profondo?
Certo Jeff Bezos teme rappresaglie di Trump e vuole contratti per la sua nascente azienda spaziale, Blue Origin. E Zuckerberg deve aver sudato freddo quando, in estate, Trump gli promise l’ergastolo («passerai il resto dei tuoi giorni in galera») se avesse favorito Kamala Harris con le sue reti sociali. Per non parlare di Google minacciata di «spezzatino» dalle authority di Biden a causa delle pratiche monopolistiche usate per imporre il suo motore di ricerca.
Ma a spaventare i tycoon della Silicon Valley è solo il vecchio Trump o anche — anzi soprattutto — il tribuno, aspirante copresidente, Elon Musk, in lite con diversi suoi concorrenti e non meno brutale e spregiudicato del presidente nell’uso del potere che ritiene di avere?
Sono domande che agitano da giorni la vigilia dell’insediamento di questa che si presenta come una «presidenza imperiale». Ma l’imperatore che mostra un vigore perfino eccessivo e che sembra deciso a cavalcare la rivoluzione della tecnologia portandola nello Stato, è anche un uomo comunque invecchiato e fragile. Gli inginocchiati, allora, probabilmente pensano — come Musk e i suoi amici imprenditori e venture capitalist dell’autoritarismo tecnologico, da Peter Thiel a Marc Andreessen — che digitale e AI sono destinati a trasformare la politica così come hanno cambiato il modo di produrre, di comunicare, i rapporti sociali. E vogliono avere anche loro un posto sul ponte di comando di una nave che, nei piani di questi personaggi, avrà in JD Vance un timoniere vigoroso ma anche ben sorvegliato.
Infuriano le analisi sulla crisi della democrazia liberale, ci si chiede se e come tecnologie sempre più potenti e teoricamente neutrali potrebbero rendere obsoleti i meccanismi parlamentari, il funzionamento delle istituzioni repubblicane. In realtà, visto che nessuno vuole un’umanità schiavizzata dalle macchine, è chiaro che ci sarà sempre l’uomo, coi suoi pregiudizi, la capacità di costruire ma anche di distruggere, a gestire il potere — un potere immenso — di indirizzare l’uso della tecnologia.
Discorsi che portano molto lontano. Per ora meglio segnalare le conseguenze concrete che l’impatto del tandem Trump-Musk sta già cominciando ad avere sul mondo della tecnologia. Una, sulla quale torneremo, riguarda il possibile snaturamento del modello economico americano basato sulla competitività e sull’economia di mercato che si verificherà se il successo delle imprese comincerà ad essere determinato più dalla vicinanza al potere politico che dall’efficienza e dalla capacità di innovare. E se prevarrà l’ideologia economica di Thiel che difende i «monopoli creativi»: la competizione come spreco inutile quando si sviluppano tecnologie di punta, costose e impegnative.
L’altra conseguenza riguarda l’informazione: quella tradizionale — prima i giornali, poi anche radio e tv — che per 200 anni ha plasmato il dibattito politico e l’evoluzione delle democrazie, è stata da tempo messa ai margini dallo sviluppo senza regole dei social media. Con la politica incapace di intervenire, l’unico limite è venuto dalle norme interne che queste organizzazioni si sono date per ridurre gli eccessi. Regole spesso discutibili, ma comunque basate sul riconoscimento della necessità di filtrare i contenuti immessi in Rete per eliminare almeno le calunnie, l’odio, le evidenti falsità.
Ma quell’attenzione per il fact-checking che aveva segnato la prima elezione di Trump, si è in gran parte dissolta in questa nuova stagione politica e la decisione di Zuckerberg la seppellisce definitivamente negli Stati Uniti. Cresce ulteriormente la capacità di Trump di controllare l’informazione. E cresce il rischio di conflitti Usa-Europa: oltre che su Nato e dazi, anche sulle regole per il web che la Ue, a differenza dell’America si è data.

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