22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

Per contrastare il Covid-19 non si deve temere l’«impopolarità» nel senso migliore del termine:spiegare e far comprendere all’opinione pubblica anche quello che non vuole sentirsi dire


Governo e Regioni faticano a capire che la seconda fase della pandemia da coronavirus non regala né promette rendite di posizione politiche ma esige maggiori responsabilità. Nella primavera scorsa si poteva pensare di avere di fronte un’Italia spaventata e pronta a quasi tutto per uscire a un’ondata di contagi sconosciuta e terribile.
Con senso di responsabilità e disciplina, sei mesi fa pochi hanno rinunciato a fidarsi di una maggioranza governativa e di presidenti di Regione colti alla sprovvista e senza un piano. Le restrizioni inedite della libertà sono state accettate su uno sfondo di unità e di coesione motivate dall’emergenza sanitaria. Ora non più. L’ottica è cambiata. Il rimpallo degli errori e dei ritardi non viene percepito come quasi inevitabile conseguenza di un contagio non previsto da nessuno. Lo stato di necessità di allora era figlio della sorpresa; quello che si sta delineando chiama in causa anche l’imprevidenza e la disorganizzazione.
Per questo il cosiddetto scaricabarile rischia di assumere in pieno il suo significato offensivo. Diventa l’emblema di una ricerca di colpe attribuite in apparenza agli «altri», intesi come livello diverso di potere e di maggioranza politica; di fatto pagate dalla popolazione. E finisce per sottolineare un’assenza insieme di coraggio e di trasparenza, che promettono di incidere in profondità sul rapporto di fiducia costruito faticosamente fino all’estate. A forza di inseguire i sondaggi di popolarità, Palazzo Chigi comincia a rendersi conto che cosa significhi provare il morso doloroso dell’impopolarità.
Non, però, perché ha preso decisioni sgradite ma efficaci; semmai per una ragione opposta. A pesare negativamente è il senso di inutilità delle misure prese, di mesi buttati via, e di mancanza di controllo della situazione da parte di chi doveva governarla; sono le divisioni all’interno della maggioranza sui tempi e sui modi delle chiusure, e i conflitti e l’incomunicabilità tra il premier Giuseppe Conte, e l’opposizione e le regioni. Probabilmente è vero che gli enti locali in prevalenza a guida leghista o comunque di centrodestra aspettano soltanto di puntare il dito contro l’esecutivo; e che in Parlamento le richieste di dialogo sono strumentali. Si è visto anche ieri.
Ma tutto questo non può diventare un alibi per non provare ad aprire seriamente un confronto. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, insiste da due giorni su un’unità non di facciata. È emblematico il suo colloquio di ieri con due governatori, uno di sinistra, Stefano Bonaccini dell’Emilia-Romagna, l’altro di destra, Giovanni Toti, della Liguria. Serve a dare un segnale se non altro di metodo a chi si fa scudo dello scontro per non decidere; e a chi evoca l’autonomia delle regioni o il primato dello Stato solo quando sembrano un presagio di disastri. Il governo ha il dovere di prendere in mano la situazione; di indicare le priorità; e di ottenere il consenso di tutti oppure di spiegare perché va avanti comunque.
Per contrastare il Covid-19 non si deve temere l’«impopolarità» nel senso migliore del termine: spiegare e far comprendere all’opinione pubblica anche quello che non vuole sentirsi dire. Dovrebbe essere facile, se il riflesso dell’autodifesa furba cedesse il passo a un autentico spirito di collaborazione. La difficoltà maggiore nasce da una diffidenza reciproca così radicata da cristallizzare i conflitti, mentre peggiorano condizioni economiche, rapporti sociali e contagi; e mentre la babele dei suggerimenti prodotti dai virologi aumenta l’incertezza. È indubbio che l’Italia condivide con il resto dell’Europa un rimbalzo dei contagi tale da mettere in mora intere classi dirigenti.
Di nuovo, però, attenti a non utilizzare l’omologazione come salvacondotto. Bisogna chiedersi come mai in pochi mesi il «modello italiano» così celebrato e autocelebrato sia diventato un deprimente «mal comune, mezzo gaudio» europeo. E soprattutto, è urgente rimediare prima che il nostro Paese diventi una pietra di paragone in negativo. Fino a qualche settimana fa i cantori del grillismo di governo, in sintonia con chi dall’opposizione minimizzava i rischi, ironizzavano su chi temeva proteste e scontento. Forse è il caso che tutti smettano di irridere e bastonare i critici, e si facciano un rapido esame di coscienza, agendo di conseguenza.

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