Noi continuiamo a mettere i nostri giovani docenti, alle prese con il concorso pubblico imminente, nelle mani della dichiarata mancanza di considerazione sociale che la società accorda loro
Le aule delle nostre scuole somigliano all’officina di Efesto. Il dio, fabbro abilissimo con una grande forza nelle braccia aveva un’officina leggendaria. Secondo Omero si trovava sull’Olimpo, secondo altri sulla magnifica isola di Lipari o sotto l’Etna. Fatto sta che nel cuore di un vulcano, sotto il comando di Efesto, lavoravano i Ciclopi in mezzo al rumore assordante delle incudini e dei martelli. Fucina di strumenti (per Efesto) e di idee (per la nostra aula) dove con il tempo, la pazienza meticolosa e la fatica del fabbro, i nostri giovani si mettono in gioco nella costruzione di loro stessi. In questa officina ci sono giorni in cui avvengono strane alchimie. Come quando un insegnante vive una lezione di quelle che danno un senso alla nostra professione. Il senso cioè la capacità di sentire, di provare le sensazioni, che in greco antico è racchiusa nella parola pathos che è poi la stessa di passione.
E nella parola passione, che è quel qualcosa che scatena (nel senso etimologico del termine) la nostra unicità, c’è anche il senso del soffrire per la sua forza che ci investe. Chi ha a cuore i giovani sa quanto sia stimolante far sentire loro il sapore delle passioni. A patto che si dia loro la dovuta importanza. Poi succede che negli stessi giorni e nella stessa officina ti capiti di confrontarti con giovani colleghi alle prese con il concorso pubblico imminente: sogni molti e altrettanti timori. Legittimi. Noi continuiamo a mettere i nostri giovani docenti nelle mani della dichiarata mancanza di considerazione sociale che la società accorda loro. Lo leggono anche nel manuale di preparazione alla prova scritta. L’attitudine alla disponibilità pedagogica è fondamentale per un insegnante, è corretto prepararlo a ciò che lo metterà alla prova, ogni professione ha le sue asperità. Ma avere come presupposto il fatto di entrare a far parte di una categoria sociale quasi insignificante è un pugno allo stomaco. Ci appelliamo ad Efesto e ai Ciclopi perché forgino un’arma che tenga sempre viva la passione degli insegnanti. Nonostante tutto.