Prevalgono gli elementi di continuità con il passato: alcuni da apprezzare (politica estera) altri da criticare
Con la XIX legislatura repubblicana, apertasi il 13 ottobre 2022, il 68° governo dalla proclamazione della Repubblica, in carica dal 22 ottobre dello stesso anno, il primo esecutivo a guida Fratelli d’Italia e presieduto da una donna, si è aperta una fase nuova della storia del secondo Dopoguerra? E quali sono gli elementi di novità e quali quelli di continuità emersi in questo biennio?
Due anni fa, si registrarono, nello stesso tempo, un improvviso ulteriore crollo dei votanti e uno spostamento a destra dell’elettorato, mai così cospicuo. Nonostante questi segni di una cesura, la società italiana appare oggi pacifica, forse apatica. Secondo l’Ocse vi è un suo distacco dalle istituzioni, maggiore che in altri Paesi europei. Ne è un segno il modesto numero di iscritti ai partiti (meno del 2 per cento della popolazione).
L’economia va meglio del previsto. Occupati, esportazioni e produttività crescono, anche in misura più accentuata rispetto agli altri grandi Paesi europei. Pesa, peraltro, l’alto debito pubblico (quasi tremila miliardi), che tuttavia svolge un non inutile ruolo di freno, costringendo il governo a una politica prudente, non tanto per il timore dei richiami di Bruxelles, quanto per evitare il giudizio di un controllore più inflessibile, il mercato.
Nelle istituzioni si nota un inconsueto attivismo normativo, con spostamento della funzione legislativa dal Parlamento al governo, che produce quasi un decreto legge a settimana, purtroppo tutti scritti malissimo.
Sono state emanate 144 leggi, tre quarti di iniziativa governativa; 70 sono stati i decreti legge e 73 i decreti legislativi. Questo protagonismo legislativo del governo, che è il comitato direttivo della maggioranza parlamentare, più che una prova della sua forza, è un sintomo della sua debolezza, specialmente ora che il numero dei parlamentari è stato ridotto.
Nella compagine governativa, risolto con le dimissioni il caso del ministro della Cultura, resta il problema che ne era all’origine, la debolezza degli staff ministeriali, scelti spesso sulla base dell’appartenenza e della fedeltà, invece che secondo il criterio della competenza. Personale politico che si è sentito per lungo tempo escluso ha curato poco la scelta di collaboratori affidabili, severi e autorevoli, capaci non solo di consigliare, ma anche di sconsigliare gli uomini di governo.
Questa carenza, che la presidente del Consiglio non ha mancato di far notare ai suoi stessi colleghi, si è riflessa anche sulle strutture ministeriali, dove si è passati dal sistema delle spoglie a quello del patronato politico: non ci si è accontentati dei rinnovi alla scadenza, si è proceduto a riorganizzare molte strutture al solo scopo di poter fare scadere titolari di uffici e sostituirli, per non parlare delle nomine negli enti agricoli e nelle troppe società della galassia pubblica (dove è stato calcolato che occorre rinnovare circa 17 mila amministratori).Insomma, nel governo non pare esser entrata la consapevolezza che solo una amministrazione imparziale e scelta secondo il merito, non dipendente per la sua progressione dal giudizio politico, costituisce fattore di successo delle politiche governative. Quando un prefetto e un ambasciatore, che dovrebbero essere le colonne portanti dello Stato, si mostrano sul palco di una convenzione di partito e vi fanno i loro discorsi, c’è ancora lo Stato? Questa appropriazione progressiva del potere pubblico contrasta con il programma enunciato da Meloni nel 2023, quello di offrire «un altro modello, di una meritocrazia che non dipende dagli schieramenti e dalle amicizie».
La presidente del Consiglio ha saggiamente dedicato particolare attenzione alla politica estera. Ciò le ha consentito di rompere un certo isolamento del governo in Italia, attraverso la conquista di una legittimazione all’estero. Il secondo elemento caratterizzante della sua azione è stato il realismo: aveva scritto nel 2021 che «il primo tratto dell’essere di destra [è] il realismo». Quindi, atlantismo, europeismo, allineamento alle posizioni dei maggiori governi europei nel giudizio sui due conflitti bellici in corso, rispetto dei trattati, delle convenzioni e degli accordi internazionali, a partire dal G7. Il terzo elemento caratteristico della sua azione sta nella ricerca di un rapporto con gli interessi organizzati, in assenza del filtro dei partiti, divenuti ormai gusci vuoti. Supplisce con questi comportamenti all’assenza di una delle più antiche virtù dei protagonisti della politica, la «gravitas».
Questo ritratto di un biennio e dei suoi nuovi attori non sarebbe completo se non aggiungessi che il tradizionale distacco tra la politica—spettacolo e la politica–gestione si è andato accentuando, anche a causa della scomparsa dei partiti. Quello che avviene sulla scena non sempre corrisponde a quanto si svolge tra le quinte, sia per il contributo che a questo danno le molteplici opposizioni, tanto ciarliere quanto inconcludenti, sia per il continuo convergere e confliggere all’interno della coalizione di governo. A sinistra, così, il nominalismo (ad esempio, la continua richiesta di dichiarazioni di antifascismo) offusca o occulta la incapacità di individuare i punti deboli della maggioranza. Mentre a destra la ricerca continua di distinguersi impedisce al governo di allargare la sua ristretta base di consenso (i suoi elettori sono poco di più di un quarto degli aventi diritto al voto).
Ritorno alla domanda iniziale: con le elezioni del 2022 è iniziato un capitolo nuovo della storia dell’Italia repubblicana? La mia risposta è negativa: prevalgono gli elementi di continuità, sia quelli che vanno apprezzati, specialmente in politica estera, sia quelli che vanno criticati, specialmente nella gestione delle istituzioni.