21 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Marco Bresolin

Crescono i dubbi sul Fondo dell’Ue per la decarbonizzazione. E l’Italia vuole estenderlo anche all’acciaio

«C’è ancora del lavoro politico da fare» per convincere tutti gli Stati a sposare l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 (zero emissioni nette). A dirlo è Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, che ieri ha incontrato Emmanuel Macron all’Eliseo. Domani l’ex premier belga presiederà il suo primo summit Ue, quello che dovrebbe sposare la linea di Ursula von der Leyen sul clima. Ma Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria continuano a mostrarsi reticenti sul target del 2050 che la presidente della Commissione ha fissato nel suo Green Deal, il maxi-piano per la svolta verde che sarà svelato oggi in Parlamento (La Stampa di ieri ne ha anticipato i contenuti). La posizione dei tre Paesi dell’Est sembra destinata a rimanere in bilico fino all’ultimo.

I fondi per la transizione
Al di là degli impegni futuri, tra i governi c’è una generale preoccupazione legata ai contorni del «Just Transition Mechanism», il fondo per sostenere la transizione industriale verso le rinnovabili. È uno dei pilastri del Green Deal di von der Leyen. La Commissione ha promesso di stanziare 35 miliardi di euro: una cifra che, unita ad altri strumenti e a fondi privati, potrebbe mobilitare fino a 100 miliardi di euro. I ministri degli Affari Ue ne hanno discusso ieri, ma al tavolo sono sorte due domande. La prima: da dove si prendono i soldi? La seconda: quali sono i settori industriali che potranno accedere ai fondi?
«Al momento non ci sono risposte chiare – confida un diplomatico Ue -, dato che i dettagli del Just Transition Mechanism verranno resi noti dalla Commissione solo a gennaio. Per i governi la svolta verde è necessaria, ma non vogliono firmare cambiali in bianco a von der Leyen». Il tema delle risorse si intreccia inevitabilmente con i negoziati sul bilancio pluriennale (2021-2027), che ancora non hanno prodotto nulla di concreto. Più di un ministro ieri ha messo le mani avanti: «Bene i fondi per la svolta verde, ma a patto che non vadano a togliere ulteriori risorse ai fondi regionali di coesione e a quelli per l’agricoltura». Anche l’italiano Vincenzo Amendola ha sostenuto questa posizione.

Carbone contro acciaio
Oltre al discorso quantitativo, c’è poi quello qualitativo: chi potrà usare i fondi? La bozza del documento del Green Deal dice che saranno destinati «alle regioni più esposte alle sfide della decarbonizzazione». Secondo le simulazioni degli uffici della Commissione, i principali beneficiari sarebbero Polonia, Germania e Spagna. Ma per avere i dettagli sui criteri di eleggibilità bisognerà attendere l’8 gennaio. In attesa di maggiore chiarezza, tra i governi è già partita la battaglia. Il fondo è pensato per chi abbandona la produzione di carbone, ma alcuni Paesi – tra cui l’Italia – vorrebbero estenderlo anche all’acciaio, settore altamente inquinante. La partita non è ancora chiusa, ma bastano questi elementi per mettere da parte l’entusiasmo e tenere una linea di cautela.
Sarà molto più calorosa, invece, l’accoglienza all’Europarlamento, dove von der Leyen presenterà il suo piano questo pomeriggio. Ci sarà soltanto un dibattito, senza voto. E questo certamente aiuterà a celare le posizioni più critiche. Favorevoli i socialisti, i liberali e i verdi. I malumori sono principalmente nel Ppe (il capogruppo Manfred Weber oggi non prenderà la parola e lascerà intervenire l’olandese Esther De Lange). Scettici i Conservatori e Riformisti, di cui fa parte Fratelli d’Italia. «Non bisogna essere più realisti del Re – sottolinea Raffaele Fitto, co-presidente del gruppo -. L’Europa produce il 9% delle emissioni globali, mentre Stati Uniti e Cina il 43%. Un intervento limitato al nostro continente rischia di non avere effetti concreti sull’inquinamento e di minare la competitività del nostro sistema produttivo».

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