Netanyahu non dà il via libera agli sfollati israeliani. E si appella contro la Corte penale internazionale
Le truppe israeliane restano sopra la Linea Blu disegnata dalle Nazioni Unite, i libanesi scendono verso i villaggi nel Sud da cui sono fuggiti. I portavoce dell’esercito spiegano che l’accordo per il cessate il fuoco garantisce alle truppe 60 giorni per ritirarsi e i generali hanno intenzione di consumarli tutti. Perché il premier Benjamin Netanyahu ancora non ha dato il via libera agli israeliani sfollati da quattordici mesi per tornare nei villaggi e nelle cittadine dell’Alta Galilea, lo scontro potrebbe sempre ricominciare. Così la festa e le bandiere vengono sventolate dall’altra parte, anche se il primo ministro israeliano proclama vittoria. Quanto i leader di Hezbollah — quelli rimasti in vita — che propagandano: «La nostra resistenza a fianco dei palestinesi non si fermerà».
È Hamas che a questo punto — 418 giorni dall’inizio dell’offensiva a Gaza ordinata da Netanyahu in risposta alla mattanza del 7 ottobre, 1.200 israeliani uccisi — vorrebbe raggiungere una tregua o almeno così dichiara un capo dell’organizzazione fondamentalista all’agenzia France Presse. Joe Biden ci spera e «ha già chiesto ai suoi emissari di mettersi in contatto con Turchia, Qatar ed Egitto per rilanciare i negoziati», spiega Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente americano, all’emittente Msnbc.
Amos Hochstein, inviato della Casa Bianca per il Medio Oriente e principale mediatore del cessate il fuoco annunciato martedì sera, ribadisce: «L’esercito israeliano adesso combatte su un solo fronte, Hamas deve prendere l’iniziativa e sedersi al tavolo delle trattative». I palestinesi uccisi nella Striscia sono ormai 45 mila, i carcerieri fondamentalisti tengono ancora 97 ostaggi israeliani, tra loro oltre la metà sarebbe morta. Agenti dei servizi segreti egiziani — rivela Reuters — arrivano oggi a Tel Aviv proprio per discutere con David Barnea, il capo del Mossad, una possibile ripresa dei colloqui: Netanyahu ha però ripetuto che la guerra contro Hamas andrà avanti fino alla «vittoria totale» e non sembra disposto a ritirare le truppe come chiedono i jihadisti. Ha deciso di presentare appello contro i mandati d’arresto emessi per lui e Yoav Gallant, fino a due settimane fa ministro della Difesa, dalla Corte penale internazionale con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità.
I soldati libanesi hanno cominciato a dispiegarsi nelle aree del Paese verso la frontiera con Israele di cui dovrebbero prendere il controllo per garantire che il gruppo sciita armato dall’Iran non ridispieghi i suoi paramilitari e ricostruisca le postazioni d’attacco distrutte da Tsahal. Che comunque impone il coprifuoco dalle 5 del pomeriggio alle 7 del mattino e avverte la popolazione di non avvicinarsi: sotto al fiume Litani resta zona di guerra raffreddata e nelle prime ore dall’entrata in vigore della tregua i militari israeliani hanno sparato verso uomini — dicono di Hezbollah — che si stavano muovendo verso di loro. Gli americani e i francesi si sono fatti garanti dell’intesa: rafforza la risoluzione 1701 approvata dalle Nazioni Unite alla fine dei 34 giorni di conflitto nell’estate del 2006 e che la missione Unifil, a cui partecipano i militari italiani, ha il mandato di implementare. Anche l’Iran dà il sostegno al patto che non sarebbe stato possibile senza il sì degli ayatollah. Abbas Araqchi, il ministro degli Esteri, spera che «la pausa diventi permanente».