16 Settembre 2024

Il nuovo accordo: con il Patto la Ue compie un piccolo ma importante passo in avanti in termini di sovranità condivisa

Non è stato un bello spettacolo, ma alla fine il Parlamento europeo ha votato sì: tutte e dieci le misure del nuovo Patto sull’Immigrazione e l’Asilo sono state approvate l’altro ieri. Le reazioni sono state molto diverse, dal trionfalismo acritico alla condanna senza appello. Succede sempre così nel caso di pacchetti articolati e complessi, su temi delicati. Per un giudizio ragionato di sintesi conviene utilizzare criteri, per così dire, di sistema. Ad essere in gioco sono infatti elementi costitutivi di ogni comunità politica (inclusa la Ue, dunque): i confini territoriali e il loro controllo. In che misura il Patto rafforza la condivisione di sovranità su questo delicato fronte, sotto la guida della Ue?
Sappiamo che, per quanto riguarda il movimento delle persone, la Ue ha progressivamente neutralizzato le frontiere fra i Paesi membri: pensiamo all’area Schengen. Gli ingressi dall’esterno sono invece controllati dai governi nazionali, ai quali spetta di determinare i flussi regolari e di gestire quelli irregolari. La pressione migratoria colpisce i vari Paesi in modo asimmetrico. La rotta mediterranea è oggi quella di gran lunga prevalente e il famigerato Regolamento di Dublino scarica ogni responsabilità sui Paesi più esposti: l’Italia, la Grecia e in misura minore la Spagna. Un caso evidente di quanto la sovranità puramente nazionale possa causare svantaggi immeritati, in base a ciò che accade al di fuori dell’Europa.
Il Patto approvato mercoledì non abolisce Dublino, ma lo tempera sotto almeno tre profili. Primo, uniforma per tutti i Paesi le procedure di screening alle frontiere esterne, rendendole più veloci ed efficaci. Secondo, crea un sistema di condivisione degli oneri: una quota di irregolari «in eccesso» può essere trasferita da un Paese ad un altro. Se quest’ultimo non è disponibile, deve almeno fornire un contributo finanziario. Terzo, l’Ue stipula (ha già iniziato) dei partenariati con Paesi terzi, in modo da facilitare i rimpatri. Insieme alle operazioni della già vigente Guardia costiera comune, con il Patto la Ue compie un piccolo ma importante passo in avanti in termini di sovranità condivisa.
Le nuove misure chiudono poi una spaccatura politica profonda che si era aperta a metà del decennio scorso proprio sul tema dei confini. Il massiccio incremento di rifugiati provocato dalle crisi libica e la guerra in Siria aveva messo a nudo due drammatiche impossibilità: quella di una gestione puramente nazionale delle frontiere e quella di procedere verso una gestione più centralizzata. L’Ungheria di Orbán, appoggiata da Polonia, Cechia e Slovacchia, approfittò del momento per lanciare un guanto di sfida all’autorità di Bruxelles. Si rifiutò di applicare una decisione sul ricollocamento dei rifugiati fra Paesi, organizzò un referendum nazionale «contro l’Europa» (cui partecipò meno del 40% degli elettori) e attaccò apertamente il principio della supremazia del diritto europeo. Fu la pagina più buia dell’ Europa post-allargamento, che peraltro alimentò una vera e propria ondata di xenofobia ed euroscetticismo in molti Paesi (Italia compresa).
Va dato atto a Ursula von der Leyen di aver saputo ricucire gli strappi, dando il via a un lungo e paziente negoziato a partire dal 2020. Il tema esplosivo dell’immigrazione esterna è stato trasformato da una questione di principio difficilmente sanabile (l’opposizione binaria fra sovranità nazionale o condivisa) ad un confronto più maneggevole e costruttivo sui termini specifici della gestione in comune.
Vi è infine un terzo aspetto. La percentuale di voti a favore delle dieci misure del Patto è stata piuttosto risicata. Ciò che conta è però che, nel complesso, abbia tenuto la maggioranza fra socialisti, popolari e liberali, senza frantumarsi lungo linee territoriali. Il Parlamento non esprime la volontà dei Paesi membri ma quella dei cittadini, rappresentati dai partiti in base a obiettivi e valori condivisi. Si tratta di una distinzione importante, che definisce la natura di un regime politico, la sua capacità di essere qualcosa di più di una confederazione tra stati sovrani che difendono solo i propri interessi. L’imminenza delle elezioni ha creato tuttavia qualche disturbo agli allineamenti partitici: ci sono state defezioni, per fortuna non decisive, da parte di alcune delegazioni nazionali. Per limitarci al caso italiano, all’interno del gruppo conservatore Fratelli d’Italia ha votato a favore (allineandosi ai popolari e dunque a Forza Italia) tranne che sulla misura riguardante la condivisione degli oneri, la più osteggiata da Orbán. Fra i socialisti, il Pd ha votato in modo quasi speculare al partito di Meloni, schierandosi a favore solo sulla condivisione degli oneri. Per come funziona il Parlamento europeo, le defezioni di chi fa parte della maggioranza fanno più danni di quelle in direzione contraria. I socialisti e democratici si sono sempre distinti per la capacità di votare uniti, componendo ex ante eventuali differenze di orientamenti. Speriamo si tratti solo di un incidente di percorso: è importante che la tradizione continui.

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