Fonte: Corriere della Sera
di Francesco Battistini
La disperazione di chi sa che potrebbe essere rimpatriato: «Abbiamo venduto tutte le mucche per trovare i 5mila dollari di questo viaggio. Ora chi glielo dice a mio padre?»
Arslan, numero 78. Muhammad, numero 79. Abbas, numero 80… Seduta sotto un ulivo, nella tendopoli di Moria che tiene i pachistani e gli afghani separati dai siriani, la volontaria Carolyn del Minnesota lavora la mattina presto. Macchina fotografica, lavagnetta magnetica, pennarello blu cancellabile. Le sfilano davanti i beluci, uno dopo altro, disciplinati e preoccupati. «Tranquilli, non vi sto schedando…».
Una faccia una storia un destino, tutto si riassume nel clic impossibile da rifiutare, nel numerino che tutti devono avere, nella verità che nessuno rivela: tranquilli, cari beluci, coi pachistani e coi bengalesi sarete voi i primi a essere rispediti indietro… Hanno attraversato cime e steppe come stormi d’oche indiane calve, le migranti più spericolate che si conoscano in natura, e a fermarli alla fine è l’inezia d’un timbro europeo, d’un funzionario Frontex, d’una volontaria Carolyn. Non si scappa, lo dicono l’accordo Ue e la logica, perché a casa loro non si spara abbastanza e la miseria non è una scusa sufficiente: i siriani e gl’iracheni sì, gli afghani chissà, gli altri proprio no. In una quindicina lo capiscono prima degli altri e si sfilano. S’incamminano per le colline pietrose verso Mitilene, scendono al porto, offrono gli ultimi soldi a un due alberi maltese che si chiama Next Wave, la prossima onda, «ci dia un passaggio ovunque», infine tentano di salire disperati e clandestini sul ferry per Atene. Li scoprono, li interrogano, li rinchiudono: sono i primi arrestati dell’operazione Tutti a casa.
A Lesbo è come ieri e l’altro ieri. E così a Chios, a Samos, a Kos, a Leros. 7.316 in attesa d’un via libera o d’un via di qua. S’arriva, s’aspetta, si spera. Il governo Tsipras vuole svuotare le isole e fare il censimento dei diritti d’asilo sulla terraferma: i primi traghetti salpano per l’Attica di Skaramangas, per la Grecia centrale di Volos, per il Nordest di Kavala, ovunque meno che per il congestionato Pireo. I greci non devono ancora respingere e non devono più accogliere. Ma tra il partire e il bloccare c’è di mezzo il mare: compaiono quindici barche nelle ultime 24 ore, 875 nuovi sbarchi. Accordo o no, i migranti non vogliono restare soli a mezzanotte e tre ore dopo l’entrata in vigore del nuovo blocco, dal buio dell’orizzonte turco, ecco il primo barcone. È il rituale risaputo d’80 spettri infagottati, pigiati, spiaggiati vicino all’aeroporto. Due sono già morti, infarto o chi lo sa, si tenta un massaggio cardiaco. «Nessuno ci ha dato nuove direttive e in ogni caso non ho uomini sufficienti» spiega il commissario capo di Lesbo, Dimitris Amoutzias, per mostrare che la polizia fa come sempre: li asciuga, li riveste, li nutre. Poi chiude tutti nella tendopoli di Moria, informando finalmente chi parla un po’ d’inglese: saranno loro, appena arriveranno i funzionari promessi da Bruxelles, i primi respinti del nuovo corso. «A me non l’ha detto nessuno che non si poteva più venire in Europa», si fa tradurre Hamza Sheabaz, 16 anni, pachistano di Lahore. Uno scafista gli ha preso i mille dollari e gli ha consigliato di dichiarare che è solo: per i minorenni senza famiglia c’è qualche speranza, anche se non vengono da una guerra. «A casa mia abbiamo venduto tutte le mucche, per trovare i cinquemila dollari di questo viaggio. Siamo pieni di debiti con la banca. Chi glielo dice a mio padre, adesso, che mi rimandano indietro?».
Poi ci sono altri sbarchi, più comodi. I francesi della polizia di frontiera europea, Frontex, si sistemano a 170 euro per notte nel Blue Sea Hotel vista marina. Hanno i giubbotti azzurri col logo e la domenica sono già a pranzo nei ristorantini del lungomare. È l’unica Europa che si vede finora: Parigi e Berlino hanno promesso 600 esperti per le impronte digitali e le pratiche necessarie, i rumeni si sono accodati con 70 funzionari e un paio di navi, gli altri seguiranno. «Se cominciamo presto a fare i rimpatri — è sicuro Antonis Sofiadelis, capo della Guardia costiera di Lesbo —, ci sarà un effetto deterrente». I turchi vogliono far bella figura, dimostrare d’usare bene i soldi europei: già sparano l’incredibile cifra di 1.734 clandestini bloccati e spediti in un centro a Izmir, 16 trafficanti arrestati. E se ne infischiano dei migranti che denunciano d’essere trattati come animali, al di là dell’Egeo, «ci prendono e ci lasciano giorni senza cibo e senz’acqua». «Tanta durezza è perché molti sono curdi», dice un funzionario Onu in Grecia: «L’accordo con Bruxelles prevede visti agevolati ai turchi: quale migliore occasione per i curdi? Usare il passaporto di Ankara per andare in Germania…».
Vuol dire che, mentre fermano i siriani, finiscono per mandarci i curdi? «Questa storia è infinita. E noi stiamo svuotando il mare col cucchiaino».