16 Settembre 2024
operaio lavoro

È necessario passare alle azioni: per esempio si potrebbe mettere mano ai decreti attuativi che ancora mancano

Prima che arriviate alla fine di questo articolo — diciamo entro i prossimi cinque minuti — sappiate che nel nostro Paese saranno avvenuti cinque infortuni sul lavoro. La media è questa: un ferito al minuto, negli anni peggiori anche uno ogni cinquanta secondi. A volte sono lesioni da niente, altre volte sono amputazioni o danni che peseranno per sempre nelle vite di chi li subisce e delle loro famiglie. E poi c’è il dato ancora più nero, i morti. Uno ogni otto ore. Tre persone al giorno escono di casa per andare a lavorare e non tornano più, e poco importa se hanno perduto la vita su un ponteggio, su un trattore, mentre lavoravano con qualche macchinario industriale o su una gru… Sono tre lavoratori che non vedranno crescere i loro figli, tre uomini o donne che avevano ambizioni, sogni, amori, progetti per il futuro. Tutto perduto per sempre, spesso per palesi violazioni delle più elementari norme sulla sicurezza.
Non sappiamo ancora che cosa sia successo nel cantiere della Esselunga di Firenze ma una cosa la sapevamo già un minuto dopo il crollo, e cioè che anche questa volta, come tutte le altre, sarebbe arrivata la promessa di sempre: «Mai più». E infatti… Oggi la domanda è: di cosa è fatto questo «mai più»? Che cos’ha di diverso da quella volta che un orditoio si prese la vita di Luana D’Orazio, proprio qui in Toscana? Perché dovremmo pensare che stavolta il «mai più» conterà più di quando lo abbiamo sentito a Brandizzo, davanti alla calce bianca che segnava i resti umani dei cinque operai morti lungo la ferrovia?

Sono tutti in buona fede, nelle dichiarazioni e nelle , di fronte ai vigili del fuoco che scavano fra le macerie per cercare corpi sepolti o che usano tenaglie speciali per liberare qualcuno intrappolato in qualche impianto industriale. Tutti, politici compresi. Ma poi i giorni passano e passano le storie, svanisce l’ondata dell’emotività collettiva e finisce il momento degli annunci. Con il risultato che si torna al «prima» e si dimentica ogni cosa fino a un incidente successivo tanto grave o tanto particolare da riaccendere i riflettori. È arrivato il momento di smentire tutto questo con le azioni. Per esempio si potrebbe mettere mano ai decreti attuativi che ancora mancano (e sono una ventina) per completare gli aspetti pratici dell’«81», il Testo Unico sulla sicurezza del 2008, la base di tutti i provvedimenti in materia di sicurezza sul lavoro. Manca, per dire, il decreto attuativo che riguarda la qualificazione delle imprese, cioè la cosiddetta «patente a punti», una specie di pagella, chiamiamola così, per definire il livello di trasparenza e di sicurezza in un’impresa.
Sarebbe utile far diventare realtà, nei fatti e non solo nelle intenzioni e negli accordi, anche la legge 215 del 2021, che vorrebbe l’Ispettorato nazionale del lavoro come Agenzia unica per pianificare e coordinare gli interventi sul territorio. Una legge scritta per superare la Riforma sanitaria del ‘78 che affidava la competenza per controlli e vigilanza suoi luoghi di lavoro alle aziende sanitarie, quindi alle Regioni (a esclusione di edilizia e Ferrovie). Il fatto è che ciascuna regione è regolata da criteri, investimenti e politiche proprie, e quindi questo ha significato per più di 40 anni controlli a macchia di leopardo, con regioni virtuose e altre molto meno. E ancora adesso il nodo delle differenze regionali non è sciolto. Ci sono magistrati che per una vita si sono occupati di reati legati al lavoro e che da una vita sperano in una Procura nazionale del lavoro, ipotesi mai presa veramente in considerazione da nessun governo. Ma Bruno Giordano — magistrato di Cassazione ed ex Direttore dell’Ispettorato — ogni volta che ne parla fa questo esempio: «Se dei terroristi uccidessero tre persone a caso ogni giorno nel nostro Paese avremmo per strada l’esercito, faremmo qualcosa di straordinario per arrivare ai responsabili». Ecco. E se quel «qualcosa di straordinario» fosse davvero una procura a sé come la Direzione antimafia? Davanti alle macerie di Firenze tutto questo sembra lontano. La parola chiave, qui, è subappalto. E perché non considerare quel che dice un uomo cresciuto a pane e cultura della sicurezza come l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano? «Il sogno dei sogni — dice — è fermare la logica dei subappalti a cascata, stabilire per esempio che chi prende un appalto deve essere in grado di coprire il 60% dei lavori da svolgere». Ma, appunto, al momento è un sogno. E invece quel che serve, subito, è fare passi avanti nella realtà.

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