Nei momenti difficili, e questo con le guerre in corso lo è, fioriscono i profeti di sventura. E ci sono tante orecchie pronte ad ascoltare. Ma servono prudenza e nervi saldi
Ci sono frequenti momenti cupi nella storia umana: pandemie e guerre diffondono paura e lutti, il mondo sembra essere entrato in una fase di grande instabilità e disordine, le persone perdono la fiducia nel futuro, temono per il destino di se stessi e dei propri figli. È allora che fioriscono i profeti di sventura e trovano tante orecchie pronte ad ascoltarli. In quei momenti cupi molte persone adulte e, in altri tempi, mature e responsabili, subiscono una regressione, diventano vittime di paure infantili. Si crea una diffusa domanda che ha due componenti: da un lato, la richiesta di una facile spiegazione («che senso ha tutto questo ?») e, dall’altro, la richiesta di rassicurazione («quale è la via della salvezza ?»). La diffusa domanda si incontra con l’offerta: le ricette offerte dai profeti di sventura. Si tratti dell’anno Mille dopo Cristo o del 2024 il messaggio, ancorché confezionato con differenti materiali culturali, è sempre lo stesso: siamo — a causa della insensatezza degli uomini e delle manovre dei potenti — sull’orlo della Grande Catastrofe, occorre un immediato risveglio di tutte le coscienze per impedirla. Dove la parola-chiave è «immediato». La differenza fra i profeti di sventura dell’anno Mille e quelli del 2024 è che i primi chiedevano alle persone di affidarsi a Dio mentre i secondi, in un mondo per molti versi post-religioso, propongono ricette più secolari. Ma l’esigenza che spinge tante persone ad ascoltarli è sempre la stessa.
Naturalmente la storia non bada alle prediche dei profeti di sventura e procede come ha sempre fatto: inanellando tragedie seguite da qualche commedia. È indubbiamente vero il fatto che in cartellone sono e sono sempre state più numerose le tragedie delle commedie. A causa del peccato originale si sarebbe detto un tempo. Oggi i nuovi, secolarizzati, profeti di sventura offrono spiegazioni diverse. Puntano il dito contro la folle sete di potere di coloro che dominano il mondo: i capi delle grandi potenze, oppure, talvolta, gli invisibili manovratori della «economia finanziaria globale» (qualunque cosa essi intendano con tale espressione). E invitano le persone, in preda alla falsa coscienza, obnubilate dalle bugie dei potenti della terra, a scuotersi dal torpore prima che sia troppo tardi. È indubbio che i profeti di sventura soddisfino un bisogno psicologico che accomuna tante persone. Ma è altrettanto indubbio che le loro prediche non servono a niente, confondono il pubblico, non aiutano a fronteggiare i problemi che abbiamo di fronte.
Si considerino due fra i principali cavalli di battaglia dei profeti di sventura, in particolare europei.
Il primo riguarda le armi e la guerra. Finita la seconda Belle Epoque, gli anni immediatamente seguenti alla fine della Guerra fredda, la spesa militare globale ha ricominciato a crescere. Con una fortissima accelerazione nell’ultimo decennio. Oggi potenze grandi, medie e piccole, investono massicciamente in armamenti. E le armi diventano sempre più sofisticate e micidiali. È ovvio che questo aumenta l’insicurezza collettiva. Si spera che, prima o poi, sia pure senza immaginare la fine (impossibile) della competizione internazionale, qualche forma di controllo degli armamenti — come si diceva ai tempi della Guerra fredda — possa essere introdotta. Ma, nel frattempo, è questo il mondo in cui dobbiamo vivere. Se dessimo retta a certi profeti di sventura dovremmo accettare di essere agnelli in un mondo di lupi. In attesa del disarmo generale. Ma in un mondo siffatto l’agnello ha un destino inevitabile: verrà sbranato dai lupi. Se tutti gli altri si armano chi non lo fa finisce prima o poi in pentola. Un bambino lo capisce. Un adulto, se condizionato da paraocchi ideologici, non necessariamente. Tutti i discorsi (fino ad ora restano solo discorsi) sulla difesa europea riguardano precisamente ciò.
Oppure prendiamo il caso dell’Europa. Siamo in tanti a pensare che l’integrazione europea sia una necessità per tutti noi. Per quanto faticoso, irto di ostacoli, sia tale processo. Ma il profeta di sventura non si accontenta. La sua è una visione dicotomica: tutto o niente. Se Europa deve essere, allora è necessario che Europa sia subito. O Europa o morte. Ci serve l’Europa politica qui e ora. In barba a coloro — degli scriteriati, secondo i profeti di sventura — i quali constatano, anche in questo caso, che la storia non fa salti.
Naturalmente, e fortunatamente, anche in tempi difficili, non tutti subiscono regressioni infantili, non tutti vengono stregati dal canto delle sirene, non tutti sono disposti a farsi abbagliare dai profeti di sventura. In altri termini, persino di questi tempi, c’è spazio per l’esercizio della ragione al servizio di obiettivi realistici. Tutto o niente, la richiesta dell’impossibile, fa perdere di vista ciò che è possibile: la ricerca dei modi per sfruttare ogni occasione positiva si presenti, per cogliere, in mezzo a tanti rischi e pericoli, le opportunità che permettano di migliorare la condizione in cui ci si trova. Serve, ad esempio, sapere distinguere in ogni momento fra gli amici con cui possono essere negoziati accordi mutualmente vantaggiosi e i nemici. Come, ad esempio, Vladimir Putin: ogni cedimento (venga o meno spacciato per trattativa) nei suoi confronti significa accrescerne il potere e soddisfarne il desiderio di imporci il suo volere.
Nessuno può garantirci contro le tragedie. Ci sono state, ci sono, e ci saranno. Ma nervi saldi e una saggezza nutrita di esperienza possono servire a minimizzare i danni.