22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Federico Capurso

Per giustificare il voto alla Casellati tutti invocano «l’accordo istituzionale» funzionale a eleggere Fico alla Camera. Ma i meet up (specie del Sud) non hanno digerito la svolta

«Abbiamo sostenuto un accordo istituzionale con Salvini, evitando l’elezione al Senato del condannato Paolo Romani, e alla Camera abbiamo riportato una grande vittoria». Nelle prime parole di Danilo Toninelli, capogruppo dei senatori M5S, scompare qualunque riferimento a Silvio Berlusconi e alla nuova presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, fondatrice di Forza Italia e corifera del Lodo Alfano, votata in massa da tutti i senatori grillini. L’imbarazzo è evidente. La verginità politica, persa per sempre.
Sembra quasi che sia intervenuto un meccanismo di rimozione tra i senatori pentastellati. Gli attacchi di un tempo contro l’«inciucio» tra Pd e Fi si sono trasformati in una difesa accorata dell’«accordo istituzionale». Mentre il disagio per aver sostenuto la berlusconiana Casellati viene nascosto, guardando insistentemente in direzione di Montecitorio, ripetendo come un mantra quale «grande vittoria» sia stata l’elezione a presidente dell’aula di Roberto Fico. Tanto che l’unico modo per Toninelli di citare la nuova presidente del Senato diventa: «Per noi, votare Casellati significava votare Fico». «Ma non è stato un patto con il diavolo», puntualizza il collega Andrea Cioffi che ha raggiunto il suo capogruppo e si aggiunge alla conversazione con i cronisti. «La prima qualità che mi viene in mente della Casellati?»: Toninelli e Cioffi ci pensano un po’ ma niente da fare, cala il silenzio. I due decidono quindi di allontanarsi. Cioffi, però, poco dopo torna sui suoi passi: «Sono entusiasta dell’elezione della Casellati». Eppure, una buona ragione per preferirla a Romani, il senatore M5S ancora non la trova.
D’altronde, la nascita del Movimento 5 stelle è dovuta in parte alla lotta contro quel berlusconismo di cui Casellati può definirsi paladina. Beppe Grillo, nel 2009, aveva anche condotto una battaglia contro il Lodo Alfano, nato quando il sottosegretario alla Giustizia era proprio la nuova presidente del Senato. Il comico genovese aveva persino inviato cinque domande all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendo, in sostanza, il motivo della sua firma del Lodo Alfano, «che consente l’impunità a Silvio Berlusconi nel processo Mills». E in coda, l’invito rivolto a tutti gli italiani a inoltrare quelle domande al sito del Quirinale.
Oggi, invece, ad essere intasate sono le caselle di posta dei parlamentari grillini. Inondati dalle mail degli attivisti e dei meet up che li pregano, li interrogano, li insultano per l’accordo raggiunto con il centrodestra. «Da Lecce gli attivisti ci hanno inondato di mail chiedendoci di non fare questo accordo», racconta Veronica Giannone, giovane deputata pugliese del Movimento 5 stelle, che con una scrollata di spalle ammette le contraddizioni del voto al Senato. Ma al sentire la parola «inciucio» urla un «no» terrorizzato. «Patto del Nazareno in salsa grillina», le dicono, e Giannone sembra sul punto di svenire. È un macigno sulle spalle dei grillini meno navigati, l’accordo raggiunto tra Luigi Di Maio e il centrodestra. E sono i meet up del Sud Italia quelli più inferociti. Quegli stessi elettori che hanno trascinato il Movimento alla vittoria nelle urne, e che ora chiedono sulle pagine social dei parlamentari M5S eletti di tornare indietro, di non andare oltre, di non prenderli in giro. Daniele Pesco, deputato del M5S alla sua seconda legislatura, senza volerlo taglia però la testa ad ogni preoccupazione della base: «Capisco l’imbarazzo, ma questa è la politica».

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