22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

La smentita del Movimento sui soldi che avrebbe ricevuto dal Venezuela del dittatore Nicolás Maduro va rispettata. In attesa che si chiarisca meglio una vicenda opaca, emersa proprio nei giorni in cui il grillismo rischia l’esplosione, rimane il tema dei referenti internazionali


La smentita del Movimento Cinque Stelle sui soldi che avrebbe ricevuto dal Venezuela del dittatore Nicolás Maduro va rispettata. Rimane l’ambiguità politica che in questi anni il grillismo ha mantenuto su quel regime, al punto da isolare l’Italia nell’Unione europea e in Occidente; e da permettere che una vecchia accusa di finanziamento occulto, già smentita, possa essere rilanciata con clamore dal quotidiano spagnolo ABC: notizia che il giornale conferma. Evidentemente, l’ambiguità strategica continua a pesare, nonostante i tormentati passi avanti compiuti dal Movimento negli ultimi mesi. E produce una scia di schiuma velenosa.
Il «no» almeno ufficiale al Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, è figlio di una diffidenza ideologica antieuropea radicata nel grillismo; esaltata nella rivendicazione del populismo fatta nei quattordici mesi di alleanza con la Lega; e non ancora smaltita del tutto: col risultato di offrire armi efficaci a chi dispera che l’Italia sia davvero determinata a fare i conti col proprio debito pubblico. Le rivelazioni di ieri vanno inquadrate su questo sfondo. E inducono a chiedersi come mai sia così facile additare lo scomparso Gian Roberto Casaleggio come destinatario nel 2010 di 3 milioni e mezzo di euro consegnati a Milano dai servizi segreti venezuelani in una valigia diplomatica.
In attesa che si chiarisca meglio una vicenda opaca, emersa proprio nei giorni in cui il grillismo rischia l’esplosione, rimane il tema dei referenti internazionali del Movimento, e più in generale dei partiti populisti europei. L’ambiguità si riflette sul governo di Giuseppe Conte. Mostra una zona d’ombra geopolitica del M5S tale da fare accogliere come verosimili notizie che, se false, avrebbero i contorni di una manovra sporca. Con una punta di perfidia forse non voluta, ieri il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio, ha ricordato che l’esecutivo «è nato con una forte vocazione europeista, a differenza del precedente» tra M5S e Lega. Quanto ai legami tra Venezuela e Cinque Stelle, Delrio ha commentato laconicamente: «Ogni partito ha i suoi rapporti…».
È significativo che Matteo Salvini preferisca sottolineare «l’amicizia del M5S con alcuni regimi: penso a Cina, Venezuela e Iran», glissando sulla storia dei soldi: anche perché, aggiunge il leader della Lega, «sono mesi che inseguono soldi russi che non esistono». Il riferimento è al pasticcio dei finanziamenti che ha chiesto a Mosca un intermediario della Lega: storia non ancora chiarita, e fonte di ambiguità simmetrica a destra. Gli attacchi del centrodestra erano prevedibili: mirano a indebolire il governo. Ma la saga venezuelana ripropone comunque il tema della politica estera delle forze andate al potere nel 2018. A volte, sembra rimanere incompiuta la loro emancipazione da un’identità e una storia che mescolano euroscetticismo e terzomondismo antioccidentale.
Imbarazzo e irritazione, stavolta, sono palpabili. Il grillino Luigi Di Maio è ministro degli Esteri, e il premier è stato indicato dal M5S. E il timore che la pista venezuelana, per quanto da verificare, scolorisca le credenziali a-tlantiste del governo, costringe a ribadire la scelta di campo italiana. Non a caso ieri Di Maio, in un incontro al quale è intervenuto il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha rivendicato «il legame transatlantico » come «la più strategica delle risorse» per l’Italia e l’Europa. Non solo. Ha espresso anche «comprensione» per le preoccupazioni statunitensi rispetto all’influenza cinese: in particolare sulla tecnologia 5G. Insomma, ha cercato di allontanare qualsiasi sospetto sulla politica estera.
D’altronde, non si può affermare che l’esecutivo, con dentro Pd, Leu e Iv, sia favorevole al regime di Maduro. Il problema è che in passato è stato complicato anche giudicarlo contrario. La politica grillina ha oscillato tra lealtà europea e indulgenza verso alcune dittature: proprio come la Lega viene accusata di assecondare l’antieuropeismo di nazioni come l’Ungheria di Viktor Orbán , e di subalternità alla Russia di Putin. La reazione furiosa del M5S alle accuse del centrodestra rispecchia il timore di essere risucchiato e schiacciato su un vecchio cliché: tanto più insidioso perché non ancora del tutto superato all’interno del Movimento.
Si minacciano querele e si fa quadrato intorno alla memoria dell’icona Casaleggio, il fondatore scomparso. Si ricordano i 49 milioni «della truffa della Lega, le tangenti per la sanità lombarda e il Russiagate». E si attacca FI «partito di indagati e condannati…». E naturalmente i grillini se la prendono con i giornali: tipici riflessi difensivi dei Cinque Stelle. È il tentativo di riconquistare l’unità perduta da tempo. Per paradosso, le rivelazioni di ABC, già smentite in passato, potrebbero ricompattare un Movimento protagonista di un declino vissuto quasi in streaming: anche se per ora l’immagine è quella di un formicaio litigioso, illuminato da riflettori che si vorrebbe tanto spegnere.

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