22 Novembre 2024
Francia Macron

Francia Macron

A Mosca e a Kiev Macron si è presentato come il presidente francese, che parlava però a nome di tutta l’Unione europea: una forzatura politica, ma il solo fatto di essersi assunto questa responsabilità dimostra un coraggio che è giusto riconoscergli, anche perché i rischi politici per lui sono enormi

Per scongiurare la guerra in Europa il presidente francese Emmanuel Macron ha intrapreso un’iniziativa diplomatica che in due giorni lo ha portato a Mosca, poi a Kiev e infine a Berlino. Macron ha parlato con il presidente russo Putin, quello ucraino Zelensky, il cancelliere tedesco Scholz e il capo di Stato polacco Duda, dopo decine di telefonate con i partner europei – tra i quali Draghi – e con il presidente americano Biden. Un protagonismo che molti, tra i suoi avversari in Francia e non solo, riducono al vano gesticolare di un giovane inesperto al cospetto di Putin che sarebbe, lui sì, un leader duro, determinato e (questo è innegabile) dotato di un esercito imponente e di un vero arsenale nucleare.
Ma quello che si è visto in questi due giorni, in particolare durante la conferenza stampa al Cremlino, può suggerire un’altra visione: Macron ha la voglia e la capacità di occupare in Europa lo spazio politico lasciato vuoto dai tentennamenti e dalle lentezze del processo di integrazione. Se le istituzioni dell’Unione europea per adesso prevedono solo l’evanescente figura dell’«Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza» (lo spagnolo Josep Borrell), Macron cerca di supplire, approfittando magari del semestre di presidenza francese del Consiglio Ue. A Mosca e a Kiev Macron si è presentato come il presidente francese, certo, che parlava però a nome di tutta l’Unione europea: una forzatura politica, ma il solo fatto di essersi assunto questa responsabilità dimostra un coraggio che è giusto riconoscergli, anche perché i rischi politici per lui sono enormi.
Macron usa la crisi tra Russia e Ucraina, a due mesi dal voto per l’Eliseo, anche per accreditarsi presso gli elettori francesi come un uomo di Stato, il leader che nel momento di una gravissima tensione internazionale tratta con i grandi del mondo, mentre i suoi avversari si dedicano a comizi e volantinaggi. Non a caso Macron non si è ancora ri-candidato ufficialmente. Vuole giocare fino in fondo il suo status di presidente in carica e si pone al di sopra della mischia: voi incontrate il sindaco di Auxerre, io ceno al Cremlino con il presidente della Federazione russa.
Una scelta legittima, ma porsi come l’interlocutore privilegiato di Putin comporta grandi onori, visibilità e anche il rischio di farsi male. Un precedente di peso non va a favore di Macron: uno dei suoi predecessori, Valéry Giscard d’Estaing, nel maggio del 1980 andò a Varsavia per chiedere al leader sovietico Breznev di porre fine all’occupazione dell’Afghanistan. Un mese dopo, mentre si teneva il G7 di Venezia, Breznev inviò a Giscard un telegramma in cui evocava un ritiro parziale delle truppe, e Giscard si vantò del grande risultato prima di scoprire che si era trattato di un bluff. Il candidato rivale Mitterrand ridicolizzò Giscard chiamandolo «piccolo telegrafista di Varsavia», una formula che gli è rimasta appiccicata addosso. Un anno dopo il «piccolo telegrafista di Varsavia» Giscard perse le elezioni, e all’Eliseo salì Mitterrand.
Anche la visita di Macron al Cremlino, quando Putin lo ha fatto accomodare all’altro capo del lunghissimo tavolo ovale, a sei metri di distanza, sembrava partire in salita. Ma durante quasi sei ore di discussione faccia a faccia, con gli interpreti connessi in remoto in un’altra stanza, Macron ha ribadito a Putin le esigenze europee, e lo ha fatto anche durante la conferenza stampa notturna, di insolita durezza. Putin ha cominciato elencando di nuovo le lamentele russe, ha accusato la Nato di non essere un’organizzazione pacifica, ha riconosciuto che in caso di guerra convenzionale con la Nato l’esercito russo sarebbe in difficoltà «ma non dimenticate il nucleare!», ha aggiunto, in sostanza agitando la minaccia della bomba atomica.
Macron non si è lasciato impressionare, ha ricordato en passant che anche la Francia era «un Paese dotato» di armi nucleari e dopo avere esortato a trovare «nuove garanzie sulla sicurezza reciproca» ha trovato il modo per due volte di rinfacciare a Putin il mancato rispetto di passati accordi e, soprattutto, dei diritti umani. Il confronto con il cancelliere tedesco Olaf Sholz è impietoso per quest’ultimo: nelle stesse ore Scholz era a Washington da Biden, a farsi dire dal presidente americano quello che avrebbe dovuto dichiarare lui stesso per primo, e cioè che in caso di invasione russa il gasdotto North Stream 2 tra Russia e Germania verrebbe immediatamente abbandonato.
Le prossime settimane diranno se la scommessa di Macron è stata azzardata, se i suoi sforzi si riveleranno inutili e se gli avversari troveranno per lui un nomignolo alla Giscard, magari ispirato a quel tavolo lunghissimo e ridicolo. Ma il presidente francese ha dimostrato di volerci provare, e ha confermato di nuovo la voglia di non adeguarsi mai allo status quo: è il primo a criticare la Nato (definita tempo fa «in stato di morte cerebrale»), ma in attesa che la Nato migliori va da Putin a difenderla; è anche il primo a riconoscere che l’Europa deve cambiare e deve trovare una sua voce influente nel mondo ma intanto, anche in mancanza di una investitura ufficiale, prova a esserla lui, quella voce. A chi è sempre pronto a sottolineare che «l’Europa è assente», si può rispondere che in questi giorni l’Europa qualche segno di vita lo ha dato, grazie al coraggio, che per qualcuno è incoscienza, di Macron.

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