Il governo tedesco di recente ha pubblicato, per la prima volta, una strategia ufficiale nei confronti della Cina: il pilastro portante è la mitigazione dei rischi legati agli investimenti da e per il gigante asiatico. Ma è davvero in atto un de-risking di europei e americani?
Nei governi e nelle multinazionali occidentali non si parla che di de-risking. Riduzione del rischio, con riferimento ai rapporti economici con la Cina. Non si vuole ripetere con Pechino il disastro della relazione perversa che si è avuta con Mosca. Il governo tedesco, per dire, il 13 luglio ha pubblicato, per la prima volta, una strategia ufficiale nei confronti della Cina: il pilastro portante è la mitigazione dei rischi legati agli investimenti da e per il gigante asiatico. Ma è davvero in atto un de-risking di europei e americani? Si nota nei numeri? Si spiega spesso che è presto per dirlo. In realtà, molte imprese sono state più veloci dei governi nel realizzare che devono mettere meno uova nel cesto cinese. Un’elaborazione della società Rhodium Group ha rilevato — sulla base di dati di Bloomberg e di fDi Markets — che gli investimenti diretti annunciati in Cina sono in chiaro calo: nel 2020, del 40%, da 120 a 74 miliardi di dollari, e la tendenza è continuata, tanto che nel 2022 il livello è sceso a 41 miliardi. Questi numeri contrastano con quelli della Amministrazione di Stato sui cambi valutari e con quelli del ministero del Commercio cinesi, i quali analizzano dati diversi e registrano aumenti degli investimenti diretti in entrata anche durante gli anni del Covid e dei lockdown: 187,2 miliardi di dollari nel 2019 saliti a 253,1 nel 2020 e a 344,1 nel 2021, prima di scendere a un livello comunque consistente di 180,2 l’anno scorso.
Il Rhodium Group si domanda se, sulla base di questa visione strabica, il governo di Pechino sia in grado di valutare in tempo l’inizio del de-risking, con ogni probabilità già in atto. Tanto è vero che, sulla base di dati del portale cinese Qichacha, il numero delle registrazioni di nuove imprese estere in Cina è in calo dal 2018, da quasi centomila quell’anno a poco più di ventimila nei primi sei mesi del 2023. Se si tratti di scelte delle multinazionali dovute all’indurirsi della competizione Usa-Cina o al rallentamento dell’economia di Pechino è difficile dire. Di certo, Cina e Occidente almeno in parte si allontanano: anche gli investimenti diretti cinesi all’estero sono calati, nel periodo 2020-2022, del 22% rispetto al 2017. Nessuno ha mai pensato a un decoupling, a un disaccoppiamento assoluto e immediato: ma se il de-risking fosse la fase giovanile del decoupling?