19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Studenti computer

di Edoardo Segantini

Quando si parla di «rivoluzione digitale» si pensa agli smartphone che abbiamo in tasca, ma la vera discontinuità è quella che si sta realizzando nelle fabbriche, i veri laboratori del futuro. Teatri sperimentali sulla cui scena irrompono i dispositivi che nelle case degli utenti non sono ancora entrati: Internet delle Cose (gli oggetti connessi), le tecnologie indossabili (come gli «occhiali intelligenti»), le stampanti tridimensionali, i sistemi virtuali.
La nuova fabbrica è una vetrina di quello che saremo e che non siamo ancora, perché il passaggio è ricco di contraddizioni. Un luogo dove cambiano le macchine e il lavoro degli uomini. Al posto della vecchia automazione, che stava chiusa in appositi recinti, liberamente circolano i co-bot, «robot collaborativi» che lavorano accanto agli operai della Siemens e di altre grandi aziende. O come Kiva, di Amazon, un valletto meccatronico che, a richiesta, porge al magazziniere i componenti richiesti. Alla Black & Decker macchine capaci di «vedere» impacchettano prodotti diversi che arrivano in ordine casuale. Sistemi di realtà aumentata consentono ad Agusta Westland di fare manutenzione remota sugli elicotteri. E se, per strada, è ancora difficile vedere qualcuno che indossa i Google glasses, nelle fabbriche si stanno già diffondendo occhiali intelligenti, che permettono ai tecnici di Boeing e Airbus di assemblare più agevolmente i motori di aerei o ai professionisti della General Electric di ispezionare centrali elettriche distanti migliaia di chilometri.
I benefici sono importanti. La sola adozione degli smart meter, dispositivi che controllano l’efficienza energetica, ha ridotto del 40% i costi dell’energia, secondo l’Osservatorio Smart Manufacturing del Politecnico di Milano, che analizza la competitività della manifattura attraverso il digitale.
In questa nuova ondata tecnologica l’Italia, seconda potenza industriale europea dopo la Germania, sta navigando bene. Nessun ritardo. Il nostro Paese è da sempre forte nell’innovazione di processo e di prodotto: anche più di quanto dicano le statistiche. E la «fabbrica virtuale» è una realtà che si va consolidando in aziende eccellenti come Dallara, leader nelle auto di Formula 3, dove le prime stampanti 3D sono state introdotte 15 anni fa. E dove, oggi, i piloti usano le tecnologie di simulazione in realtà aumentata per sperimentare l’ultimo prototipo della casa, quasi un anno prima che diventi un bolide reale e debutti a Daytona. Ma i casi sono molti, dagli elettrodomestici di Whirlpool al cioccolato di Icam. Le nuove tecnologie rendono le aziende più flessibili e più capaci di reagire all’estrema incertezza dei mercati. Creano spazi inediti per la collaborazione tra le aziende, i fornitori e i clienti. Cambiano la miscela delle competenze professionali e rendono indispensabile il ridisegno del sistema formazione. Perché solo la formazione può creare le competenze richieste, e, in questo modo, valorizzare l’occupazione.
Dal punto di vista imprenditoriale, insomma, l’Italia delle nuove fabbriche va bene. Il ritardo semmai è nelle politiche di sostegno. La Germania, con il programma governativo Industry 4.0, promuove politiche per la digitalizzazione del manifatturiero, che favoriscono l’installazione dei sensori sui macchinari. Gli Stati Uniti, con strumenti diversi ma identiche finalità, hanno costituito un’associazione privata no profit (Smlc) che promuove la collaborazione tra imprese e università. Il Regno Unito, peraltro un’economia più orientata ai servizi che all’industria, si è dotato di un’iniziativa simile, all’interno del progetto pubblico Catapult.
L’assenza di un programma nazionale, dice il rapporto del Politecnico di Milano, rappresenta per l’Italia una lacuna grave. E un impegno del governo in questo senso — in azioni fiscali, normative e formative che favoriscano gli investimenti privati — potrebbe migliorare ulteriormente la posizione della nostra industria. E produrrebbe il benefico effetto collaterale di aumentare la consapevolezza del Paese rispetto alla propria forza economica, rafforzandone l’autostima.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *