Gli organizzatori dell’annuale assemblea di Assolombarda avevano catturato un ospite d’eccezione, la premier Giorgia Meloni
Chi si aspettava un «franco» confronto tra governo e parti sociali alla fine è rimasto sicuramente deluso. Gli organizzatori dell’annuale assemblea di Assolombarda avevano catturato un ospite d’eccezione, la premier Giorgia Meloni, ma evidentemente non c’erano le condizioni perché quest’opportunità venisse declinata fino in fondo per misurare la presunta distanza tra il Palazzo e la Fabbrica nell’estate dell’anno di grazia 2023. E così alla fine è sembrato di assistere più che a un’infuocata assise di territorio a un seminario sull’Europa. Dove per di più gli speaker principali previsti nel palinsesto hanno finito per sostenere le stesse e identiche posizioni (che definiremmo «euro-inquiete»). Giocando quindi a specchio, si direbbe. Il presidente Alessandro Spada non a caso ha titolato la sua relazione «Noi e l’Europa», scegliendo quindi di focalizzare l’attenzione della platea sulle sfide e le contraddizioni del Vecchio Continente. L’Italia, il suo Pil, le amnesie del Pnrr, il rallentamento dell’economia, l’inflazione che scende troppo lentamente sono stati relegati un gradino sotto.
Da una parte si potrebbe dire che con questa scelta è emerso in un’assemblea di produttori il giusto riconoscimento del peso delle politiche sovranazionali e delle mille decisioni che si prendono a Bruxelles, ma dall’altra è lecito anche sottolineare come non si sia voluta mettere al centro del confronto la vicenda nazionale per una calcolata scelta di prudenza. In fondo siamo agli inizi di luglio e i veri nodi verranno al pettine solo al ritorno dalle ferie. In termini politici vuol dire che, come ha sottolineato il presidente nazionale di Confindustria Carlo Bonomi, saranno i contenuti della legge di Bilancio a disegnare veramente, e stavolta sul campo, i contorni della relazione tra governo e imprenditori. Prima di allora non c’è nessun motivo di sottolineare le differenze o di stressare le richieste degli imprenditori, che comunque a tempo debito sosterranno con forza due obiettivi pesanti: il taglio strutturale del cuneo fiscale e un nuovo piano di investimenti chiamato Industria 5.0.
Mostrando grande professionalità politica la premier non ha affatto sottostimato l’appuntamento, del resto gli imprenditori del Nord da un po’ di tempo a questa parte non sono certi avari di riconoscimenti per Fratelli d’Italia e qualcosa andava restituito. Nella trasferta milanese non ha portato a casa un bagno di consensi ma il suo intervento è stato comunque ritmato da battimani qua e là (il più convinto lo ha preso rivendicando l’abolizione del reddito di cittadinanza per chi può lavorare) e alla fine dello speech la platea comunque le ha riservato un convinto, anche se non lungo, applauso. Meloni sapeva benissimo di giocare a specchio e si è uniformata a questa scelta in ogni passaggio del suo discorso. Orgoglio, ottimismo, fiducia sono state le tre parole chiave che ha proposto al pubblico degli imprenditori come leitmotiv e proprio orgoglio era il termine più ricorrente nella relazione di Spada. Di conseguenza, da parte di Meloni, sono arrivati tanti riconoscimenti alla manifattura italiana e al suo peso internazionale, un rapido accenno al disegno di legge sul made in Italy e l’annuncio roboante di un Chips Act solo italiano per tentare di ritagliarsi un ruolo da protagonisti nell’industria dei semiconduttori.
Rivendicata a sé e all’azione del suo governo «un’inedita fase di stabilità politica» la premier è passata poi a parlare d’Europa e con il presidente di Assolombarda sono parsi pensarla proprio allo stesso modo. Entrambi ne chiedono, anche con enfasi, un rafforzamento ma non risparmiano critiche dirompenti a quella che abbiamo e al cammino intrapreso dalla commissione guidata da Ursula Von der Leyen. Massima attenzione, dunque, — se non allarme — verso una transizione ecologica che rischia di intaccare la competitività delle imprese manifatturiere europee (Spada ha addirittura parlato di «rischi di deindustrializzazione») e per il dopo-Maastricht la richiesta rivolta ai partners è che dal rapporto deficit/Pil vengano scomputati gli investimenti strategici. Toccherà ai politologi sentenziare se ci sia stata mai in passato tanta concordanza tra destra e industriali del Nord sui temi comunitari o siamo di fronte a un altro inedito, intanto vale la pena segnalare la battuta che Meloni, visto l’idem sentire del momento, si è voluta e potuta concedere: «Vedo che adesso anche in Europa si comincia a parlare di sovranità. Fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile, la si confondeva con l’autarchia e si dava la colpa ai partiti di destra».