21 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Giovanni Belardelli

Le élite Pd non discutono apertamente di alcuni problemi su cui pensano già di avere ragione. Ma così si perdono elettori e rapporto con la realtà


Le divisioni e le polemiche sviluppatesi a sinistra tra il Pd e la composita galassia che punta ad aggregarsi (forse) attorno a Pisapia hanno spinto il partito di Renzi ad archiviare rapidamente ogni riflessione sulla sconfitta subita alle amministrative. Eppure proprio quella sconfitta, soprattutto in comuni come Genova, Pistoia o Sesto San Giovanni, dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme: segnala infatti uno scollamento — culturale ed emotivo prima ancora che politico — tra la sinistra e una parte importante del Paese. Il caso di Sesto San Giovanni è da questo punto di vista emblematico. Il candidato di centrodestra ha lì vinto grazie anche alla sua battaglia contro la costruzione di una grande moschea promessa dalla sindaca uscente. È evidente che i musulmani presenti in Italia debbano avere luoghi appropriati dove pregare. Ma lasciare che la costruzione di una moschea (per di più con i finanziamenti del Qatar, accusato di sostenere il terrorismo) diventi un punto centrale del proprio programma significa non tenere in alcun conto le paure nutrite da un’ampia parte dell’opinione pubblica. Sono paure, quelle legate all’immigrazione, che si impadroniscono soprattutto dei ceti più umili e meno istruiti, di quanti vivono in condizioni di disagio economico, di emarginazione sociale, e sono i più soggetti a interpretare l’immigrazione unicamente come una pericolosa invasione, se non addirittura come la causa prima dei loro problemi. Le élite del Pd e più in generale della sinistra italiana — i suoi esponenti politici, molti suoi intellettuali e giornalisti di riferimento — reagiscono spesso a questo grumo di sentimenti assumendo un atteggiamento da primi della classe, limitandosi cioè a sostenere che se una cosa è giusta è giusta, non c’è altro da aggiungere. Questo in fondo è successo anche di fronte alla legge sul cosiddetto ius soli: benché la maggioranza degli italiani sembri ormai contraria (come mostrava un sondaggio sul Corriere del 25 giugno) sia il premier Gentiloni sia il segretario del Pd Renzi hanno promesso che andranno avanti egualmente. Quasi che addebitassero le perplessità, i dubbi, le paure di milioni di italiani a un loro più o meno consapevole razzismo invece che considerarli come il prodotto di paure magari sbagliate, ma di cui bisogna comprendere almeno le ragioni.
La sinistra, insomma, rischia di essere vittima (vittima, perché alla fine questo conformismo intellettuale che impedisce la riflessione fa perdere voti) del proprio stesso successo nell’ambito del discorso pubblico, del fatto cioè di aver saputo accreditare certe opinioni e valutazioni come le uniche consentite alle persone dabbene (quel che usualmente si chiama il «politicamente corretto»). Ad esempio, si può sostenere che vi sia una correlazione tra immigrazione e delinquenza? Naturalmente no, dal punto di vista del discorso pubblico consentito. Sì, se invece si guarda ai dati empirici, come quelli sulla criminalità degli immigrati resi noti un anno fa dalla Fondazione David Hume: secondo questi dati il tasso di criminalità relativa degli immigrati è in Italia sei volte superiore a quello dei nativi (il dato medio europeo è quattro). Sono dati di cui varrebbe la pena discutere, ma a farlo si rischia subito un’accusa di razzismo o islamofobia. Così come la stessa accusa si rischia se ci si interroga, come ha di recente fatto Maria Latella (Messaggero del 23 giugno), sul fatto che gli episodi di aggressione in strada da parte di sconosciuti, di cui purtroppo le cronache riferiscono continuamente, sono da addebitare spesso a uomini provenienti «da culture nelle quali una violenza sessuale non è un reato». Non so se è una valutazione del tutto esatta; è però un’opinione che meriterebbe d’essere discussa, anzitutto per le evidenti implicazioni sul tema dell’integrazione; ed è anche un’opinione coraggiosa perché sfida il conformismo politico-culturale, dominante non solo in Italia. Lo stesso conformismo che per quindici anni — come riferì un’inchiesta indipendente del 2014 — aveva indotto poliziotti e assistenti sociali di una cittadina inglese, per loro stessa ammissione, a non intervenire di fronte agli abusi su centinaia di bambini compiuti da membri della comunità pachistana, per il timore di essere accusati altrimenti di razzismo. Ecco, se di moschee, immigrazione e di tante altre cose imparasse a discutere apertamente, forse il Pd riuscirebbe a recuperare l’attenzione e il voto di tanti ex elettori.

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