Con ogni probabilità, a meno di una mancanza di stile, che a Palazzo Chigi tendono ad escludere, oggi Ursula von der Leyen telefonerà a Giorgia Meloni. La previsione è fondata su un dato di cronaca: dopodomani, alle 9 del mattino, l’esponente tedesca che corre per un bis al vertice della Commissione europea, ha fissato un confronto politico con il gruppo dell’Ecr, i Conservatori europei che fanno capo proprio alla premier. Dirà loro del suo programma, e dovrà destreggiarsi non poco per avere uno spicchio di benevolenza.
Anticipare a Meloni, almeno in modo ufficioso, quello che dirà ai 78 deputati di Ecr sarebbe un atto di cortesia necessario, sicuramente utile anche per il prosieguo della trattativa sul posto riservato all’Italia in seno alla Commissione Ue. Una vicepresidenza operativa, come ha chiesto Meloni? O piuttosto un semplice Commissario con una delega che renda la nostra diplomazia comunque soddisfatta? La questione resta aperta.
Nel governo della Ue il posto cui ambisce il governo italiano («puntiamo al massimo in base al nostro peso», ha detto la premier) è quantomeno un Commissario che abbia deleghe di prima fascia, dunque poteri regolatori esclusivi e un budget di spesa, insomma una delega che potrebbe anche essere la Concorrenza, il Bilancio o il Mercato Interno. Anche se qualcuno non esclude l’Industria, alla quale però mancano i requisiti accennati.
Meloni deciderà quello che il suo gruppo nazionale, quindi i 24 deputati di Fratelli d’Italia, voterà, probabilmente al fotofinish, giovedì mattina, quando von der Leyen parlerà di fronte al Parlamento e poi attenderà l’esito di un voto per nulla scontato. Un pezzo di Ppe tedesco ha già fatto capire che non la voterà, parecchi franchi tiratori potrebbero affiorare fra i Socialisti e persino fra i Liberali, che non sono affatto contenti, come del resto l’Ecr, del Green deal che Ursula ha portato avanti nella scorsa legislatura.
Ma il voto dell’Ecr sarà comunque diversificato, al di là degli sforzi linguistici o programmatici di von der Leyen. Nel gruppo dei Conservatori le delegazioni di Polonia, Romania e Francia hanno annunciato il loro voto contrario. Mentre i deputati belgi e cechi, che esprimono (i belgi stanno formando il nuovo governo) anche un premier, come l’Italia, nel Consiglio europeo, sono orientati a dire di sì. Il pacchetto di voti di cui dispone Meloni direttamente, quelli dei deputati di Fdi, resta dunque una delle incognite.
A Palazzo Chigi scommettono su un filo rosso. Meloni, al di là delle trattative sul Commissario, potrebbe decidere in continuità con la scelta fatta all’ultimo Consiglio europeo: astensione. Tecnicamente, per le regole parlamentari europee, varrebbe come voto contrario, politicamente potrebbe significare un parere espresso con riserva. Ma tutto è comunque nella mani della premier, e non è da escludere né un voto negativo, né come sorpresa dell’ultimo minuto uno positivo.
Di sicuro, oltre alla partita del Commissario, contano i punti programmatici. Sull’immigrazione serve lo stesso impegno che von der Leyen ha dimostrato negli ultimi mesi. Poi un passo indietro rispetto a una transizione ecologica che molti Conservatori ritengono troppo ideologica. E un altro passo indietro rispetto ad un’Europa federale, con troppe cessioni di sovranità a Bruxelles: sarebbero impegni che susciterebbero un sorriso nei deputati meloniani. Insomma la partita è aperta.
Una fonte di primo livello nella nomenklatura europea concede una previsione senza perifrasi, che appare frutto dell’esperienza: «Con i Patrioti di Orban il peso generale di Ecr si è ridotto e i Verdi sembrano malleabili, e comunque le richieste italiane non sono così esagerate da non essere accontentate». Insomma «non sembra che all’orizzonte ci sia un dramma, ma un po’ il solito gioco di dare all’Italia un posto al tavolo degli adulti, ma non in sala macchine».