Fonte: Corriere della Sera
di Gianmario Verona
Solo cercando le opportunità economiche e sociali tracciate dalla quarta rivoluzione industriale si potrà realizzare il valore che la crescita post-pandemica porterà
Non sembra infondato sostenere che lo shock prodotto da Covid 19 abbia accresciuto in tutti noi la consapevolezza della fragilità dell’essere umano e più in generale della società contemporanea. Nonostante le conquiste scientifiche, tecnologiche ed economiche che hanno caratterizzato il Novecento e l’inizio di questo secolo, in poche settimane il mondo intero è stato costretto a fermarsi per via della diffusione di un virus di cui, a un anno dalla comparsa, non ne sappiamo ancora abbastanza per fermarne la diffusione.
Retrospettivamente, non vi è quindi da stupirsi se la reazione politica sia stata di difficile coordinamento. Covid 19 ha agito come uno tsunami e i tempi di reazione, soprattutto delle democrazie occidentali che sono fortunatamente ricche di meccanismi istituzionali tesi a preservarle, non potevano certo essere altrettanto veloci ed efficaci contro un nemico così differente da quelli tradizionali. Nemico abile, che ha saputo insinuare tra i cittadini battaglie che giustappongono la bontà di scelte di natura politica rispetto alla necessità di decisioni tecniche a base scientifica, che contrappongono la retorica dei diritti individuali rispetto ai poteri dello Stato, che giungono a mettere in competizione salute ed economia, come se fossero attività sostitutive e non complementari. Battaglie difficili da combattere, in un mondo globale che è stato indebolito nell’ultimo lustro da politici nazionalisti, grazie anche a un nuovo contesto mediatico dominato dai social network che hanno aggiunto alla pandemia il fuoco dell’infodemia. Disarmante, peraltro, assistere allo spettacolo di alcuni protagonisti della scienza, che sono caduti nel tranello mediatico di rappresentarsi ben oltre i confini di quanto la scienza possa oggi esprimere sul tema.
Se sembra quindi ingiusto criticare l’operato iniziale di molti governi, con il passare del tempo diventa tuttavia sempre più difficile nascondere la delusione per una pianificazione inadeguata in prospettiva dell’avvento della seconda ondata pandemica. Nel caso dell’Italia, nonostante i buoni intenti e la progettazione messa in campo con, ad esempio, il Piano Colao, la fase esecutiva è rimasta carente di una visione che potesse attrezzare adeguatamente settori nevralgici quali sanità, scuola e infrastruttura di trasporto.
Guardando avanti, constatando che alcuni dei lockdown parziali riducono l’impennata di contagio e in attesa del vaccino oramai alle porte, occorre anche progettare il futuro. A questo proposito, è fondamentale ricordare che, se a ogni recessione economica segue un periodo di espansione, in coda a uno shock di questa natura e portata è presumibile segua una crescita altrettanto espansiva. Questo non tanto perché lo shock riguarda, come altri degli ultimi decenni, l’offerta industriale e finanziaria, ma soprattutto perché riguarda anche la domanda che è stata limitata dai vari lockdown che caratterizzano questo periodo. Ne è conferma il periodo bellico del Novecento, che ha lasciato spazio a una crescita florida in cui l’Europa si è formata e consolidata e l’Italia si è ricostruita e ha slanciato nel mondo l’imprenditoria che ci rende tutt’oggi famosi a livello internazionale. Ne sono pure conferma gli anni della «guerra fredda» e gli «anni bui» del terrorismo, in coda ai quali è stato avviato un percorso di globalizzazione che rimane un unicum nella storia dell’umanità. In seguito allo shock esogeno prodotto dalla pandemia, il ripristino della mobilità internazionale potenziata dall’infrastruttura digitale, che la quarta rivoluzione industriale ha reso disponibile e che obtorto collo Covid 19 ci ha insegnato a impiegare, permetterà una crescita anche più veloce e imponente di quanto sia accaduto in seguito alle crisi recenti.
Tutto ciò sarà possibile però a una condizione: se quanto stiamo imparando in questi mesi verrà trasformato in atti concreti di cambiamento finalizzati all’introduzione di innovazioni. Ce lo dimostra la teoria Schumpeteriana dell’innovazione elaborata proprio durante la seconda rivoluzione industriale e che ci spiega come grazie alla tecnologia dell’elettricità si è costruita l’economia in tutte le industrie del Novecento: i tempi di crisi sono quelli che favoriscono le innovazioni anche più radicali grazie agli imprenditori e ai Paesi che le sanno cogliere. Solo innovando e cercando le opportunità economiche e sociali lungo le vie che la quarta rivoluzione industriale ha tracciato, si potrà realizzare il valore che la crescita post-pandemica porterà.
L’Unione Europea ha colto questa urgenza e oltre a essere riuscita a stimolare uno spirito costruttivo e collaborativo tra i Paesi durante la pandemia, ha saputo fungere da faro disegnando il Next Generation EU Fund. Il recovery fund è costruito lungo i due pilastri dell’innovazione che la quarta rivoluzione industriale ha dettato: la «trasformazione digitale» e la «trasformazione ambientale», con l’asse portante del «capitale umano», che non fa altro che rappresentarne una sintesi soprattutto per definire competenze e leadership di chi dovrà governare le due sfide trasformative. A ciò va aggiunto che, se l’allocazione dei fondi è affidata a scelte politiche che escluderanno molte imprese private del nostro Paese, in questo momento storico di eccesso di liquidità, i grandi investitori sono alla ricerca di iniziative in grado di crescere e la crescita nei prossimi mesi non può che derivare dall’innovazione prodotta dai grandi e piccoli dati del digitale e dalle sfide ambientali e sociali che la sostenibilità ha messo in campo.
Nel mondo dell’innovazione, si afferma che proprio in momenti di difficoltà occorre avere il coraggio di innovare. Devono averlo i politici che stanno disegnando il piano per l’Italia e devono farlo non pensando all’immediato ritorno elettorale ma al futuro del Paese e delle prossime generazioni. Devono avere coraggio gli imprenditori tornando a investire sulle proprie imprese. Dobbiamo avere coraggio tutti noi. Ora più che mai.