Fonte: Corriere della Sera
di Elena Tebano
La cancelliera tedesca mercoledì, dopo la riunione con i rappresentanti dei governi dei Länder, ha annunciato in diretta l’allentamento delle restrizioni per l’epidemia di coronavirus. E ha dimostrato come parla una leader
Chiara, precisa, tranquillizzante senza mai nascondere le difficoltà. La cancelliera tedesca Angela Merkel mercoledì, dopo la riunione con i rappresentanti dei governi dei Länder, ha annunciato in diretta l’allentamento delle restrizioni per l’epidemia di coronavirus. E ha dimostrato come parla una leader. Ha detto che la parziale riapertura è possibile grazie agli sforzi dei cittadini, ma che si tratta di un «successo intermedio»: con il virus sarà necessario convivere finché non si troverà una cura specifica o un vaccino, la normalità è lontana. «Adesso il tasso di trasmissione è 1, significa che ogni persona infetta ne contagia in media un’altra — ha spiegato —. Ma basta che ne contagi 1,1 perché entro ottobre il sistema sanitario e le terapie intensive arrivino al massimo della loro capacità». Se il tasso di trasmissione sale a 1,2, se cioè — ha proseguito — «su cinque persone quattro ne contagiano una a testa, e una ne contagia due, allora superiamo la capacità massima del sistema sanitario già a luglio. Vedete quanto è piccolo lo spazio in cui ci muoviamo» ha concluso.
Parole comprensibili a tutti e che a tutti chiedono di essere responsabili. C’è alla base una concezione del rapporto tra governo e cittadini che li vede come adulti capaci di raziocino, non bambini da spaventare o minacciare. Ha radici profonde: «L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro» scriveva a fine ’700 proprio un tedesco, il filosofo Immanuel Kant. Ma conta anche la capacità di leadership personale. Merkel è laureata in fisica, una formazione scientifica che la rende particolarmente competente a gestire una situazione come questa. Si prende il tempo per valutare la situazione ma poi sa indicare una strada ferma sulla base dei dati. E ha imparato dagli errori nella crisi dei rifugiati nel 2015 a spiegare quelle decisioni.