Fonte: Corriere della Sera
di Franco Venturini
Quel centro della città è il centro dell’Europa e anche dei valori occidentali. L’azione degli jihadisti non avrebbe potuto essere più crudele e riconoscibile, con quel tir lanciato sul mercatino di fine anno esattamente come il camion di Nizza si lanciò il 14 luglio contro la folla inerme sulla Promenade
Sangue sotto l’albero di Natale, in quel centro di Berlino che è il centro dell’Europa e forse anche, al giorno d’oggi, dei valori occidentali. Il messaggio dei jihadisti non avrebbe potuto essere più crudele e riconoscibile, con quel tir lanciato sul mercatino berlinese di fine anno esattamente come il camion di Nizza si lanciò il 14 luglio contro la folla inerme che passeggiava sulla Promenade. Che l’assassino sia un «soldato» dell’Isis o un lupo solitario, che abbia voluto vendicare i morti di Mosul o quelli di Aleppo (perché è possibile anche questo), il suo odio criminale si è rivolto come sempre contro innocenti, contro l’assembramento festoso che serve a terrorizzare dimostrando che tutti sono vulnerabili. E se poi l’estrema visibilità del gesto può contribuire a mettere in difficoltà una Cancelliera sotto accusa per i suoi presunti eccessi di accoglienza nei confronti dei profughi e ormai in campagna elettorale, tanto di guadagnato.
Lo avevano detto tutti i servizi di sicurezza d’Europa che il rischio attentati era di molto cresciuto negli ultimi due mesi. La spiegazione era ed è semplice: l’Isis ha perso il quaranta per cento del territorio che aveva occupato in Siria e in Iraq, Mosul è sotto assedio e seppur lentamente le forze irachene appoggiate dalla coalizione a guida americana avanzano, Raqqa sta per essere anch’essa attaccata, in Libia è caduto il caposaldo di Sirte, gli oscuri finanziamenti di un tempo non arrivano più, e i bombardieri russi, ora che è pronto l’accordo con Erdogan e con Trump per dare più tempo ad Assad, stanno per volgere tutto il loro potere distruttivo contro lo «Stato islamico». Le cose vanno malissimo, per i jihadisti. E quando le cose vanno male sul terreno, aumenta per compensazione il ricorso al terrorismo, nelle sue varie declinazioni.
La strage di Berlino obbedisce a questa logica del taglione: più voi ci colpite, e più noi vi colpiremo. Dobbiamo essere consapevoli di questo scambio aberrante, dobbiamo sapere che la determinazione usata finalmente contro i tagliagole di Al Baghdadi comporta questo terribile rovescio della medaglia. Ma se non si agisse per battere l’Isis, se ci lasciassimo ingannare da impossibili compromessi o da vergognosi cedimenti, il prezzo sarebbe molto più alto, sarebbe la nostra cancellazione civile e probabilmente fisica. Per questo a tutti è chiaro che il terrorismo non deve piegarci ma deve essere piegato, al di là delle scontate retoriche pubbliche. E tuttavia nel momento della fermezza necessaria è anche indispensabile riconoscere i propri errori, le proprie colpe. L’Occidente esce con le ossa rotte dal martirio di Aleppo, gestito in vario modo da Assad, da Putin, da Erdogan e da chi comanda in Iran. L’America di Obama esclusa dai negoziati che si terranno anche oggi a Mosca e indecisa sul da farsi, quella di Trump ancora alla finestra ma interessata soltanto a chiudere la partita, l’Europa addirittura non pervenuta. Eppure bisognerebbe sapere che le mattanze di civili lasciano tracce, entrano nella storia, puntano l’indice contro chi ha strillato ma non si è mosso. Ecco perché ha una sua orribile logica l’uccisione dell’ambasciatore russo ad Ankara per mano di un poliziotto. Ecco perché il ricordo di Aleppo può aver avuto un posto anche nella mente dell’attentatore di Berlino. Ecco perché Aleppo contribuirà a fomentare il terrorismo, e recluterà nuovi stragisti.
Tutto è interconnesso, nell’ecatombe siriana e nei suoi tentacoli. Con l’Isis alle corde, sono tornate in Europa centinaia di foreign fighters che erano andati a combattere sotto le bandiere nere. Quanti di loro sono terroristi pronti a colpire? Pochi, ma purtroppo bastano. E intanto, in assenza dell’Occidente, Erdogan e Putin perfezionano il loro patto, il turco ottiene mano libera contro i curdi siriani e il russo ottiene più tempo per Assad al potere. Ora si tratta di prendere a bordo l’Iran, e non sarà agevole ma sarà inevitabile. E l’Isis, nel suo recinto sempre più stretto, venderà cara la pelle, sparirà per ricomparire altrove (si pensi a Palmira che pareva ormai sicura), continuerà ad attrarre la rabbia dei sunniti, continuerà ad istruire o ad incoraggiare via web i terroristi ormai infiltrati nelle nostre società. La guerra continua e non sarà facile vincerla davvero, anche dopo la caduta di Mosul e di Raqqa. Non sarà facile ma è obbligatorio.