20 Settembre 2024

Fonte: corriere della Sera

di Gerardo Villacci


Le ultime elezioni europee ma anche quelle amministrative, soprattutto nella fase del ballottaggio, sono state caratterizzate da un forte astensionismo e da una marcata volatilità.Non si tratta di problematiche recenti né tantomeno esclusive dell’Italia essendo comuni a molti dei Paesi maggiormente sviluppati, non soltanto europei. Solo per citare quelli più rappresentativi, si consideri quanto è accaduto in Germania, dove a dispetto della proverbiale stabilità, le elezioni federali e locali hanno prodotto una frantumazione politica senza precedenti. Oppure in Francia, le cui elezioni presidenziali del 2017 sono state contraddistinte dalla evaporazione dei partiti tradizionali, già nel primo turno.
Tuttavia, in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei dove vi è stata una maggiore affluenza di votanti, in Italia il fenomeno è in evidente progressivo aumento. Infatti l’astensionismo, inteso nella accezione più ampia comprensiva oltre che dei non partecipanti al voto, anche di coloro che inseriscono nell’urna schede nulle oppure bianche, è stato del 43,7%, addirittura in aumento rispetto al massimo storico delle elezioni omologhe del 2014, nelle quali la percentuale è stata del 41,3%. Al netto della asetticità dei riferimenti percentuali, stiamo parlando di 21,5 milioni circa di persone che non hanno votato. Un dato straordinario se si considera che complessivamente gli elettori italiani sono poco più di 51 milioni.
Anche la volatilità, vale a dire il cambiamento delle preferenze tra una elezione e l’altra, ha raggiunto nell’ultima tornata elettorale i più alti livelli nella storia repubblicana, con la sola eccezione delle votazioni del 1994 nelle quali vi è stato l’azzeramento dei partiti tradizionali.Escludere che vi sia una correlazione tra queste circostanze e la complessa situazione economica e di decadimento sociale che affliggono il Paese, sarebbe un grave errore di sottovalutazione. La politica potrà superare il diffuso giudizio di incapacità ad arginare il disfacimento della propria funzione di raccordo tra il cittadino e le istituzioni, soltanto contrastando la radicata convinzione di marginalità della partecipazione al voto.
L’astensionismo, in modo particolare, ma anche la volatilità delle preferenze politiche, sono i segnali più evidenti del profondo ed irreversibile mutamento culturale in atto. Una lunga traversata del deserto che nei migliori auspici dovrebbe condurci da una prolungata fase storica di autoritarismo, a quella più moderna di autorevolezza. Facciamo riferimento ad un fenomeno di formazione intellettuale in evoluzione, nel quale troviamo le risposte alla crisi dei corpi intermedi, ma anche a quella dell’istruzione e alla ormai evidente emergenza educativa, che quotidianamente riscontriamo nel logorato rapporto tra insegnanti e studenti. Questioni con una radice comune: il rifiuto dell’impianto strutturale gerarchico fondato sulla ragione della forza. Un modello culturale superato, ma che continuerà a produrre gravi disfunzioni fin quanto non verrà definitivamente sostituito da un altro costruito sull’autorevolezza; vale a dire sulla forza della ragione.
Il riconoscimento di autorevolezza, d’altra parte, è lo snodo decisivo per qualsiasi funzione di responsabilità e comando. Si consideri, prima di altri, il fondamentale ruolo educativo degli insegnanti, dai quali legittimamente si pretende equilibrio e serietà nello svolgimento del loro compito formativo ma, al contempo, non ci si preoccupa di promuovere iniziative, a qualsiasi latitudine, volte alla protezione della dignità del loro lavoro.
Pur tuttavia, la posizione di maggiore rilievo è quella del leader politico. Esserlo, significa, innanzitutto esprimere valori condivisi preoccupandosi di fare piuttosto che apparire, perseguendo il consenso e non la semplice fiducia, sul presupposto che le iniziative di governo sono normalmente impopolari in quanto difficilmente proiettate a produrre vantaggi nel breve e talvolta nel medio termine. Diversamente anche i più importanti trionfi elettorali, avranno carattere temporaneo. Quando le promesse non si realizzeranno, i sostenitori saranno pronti a cambiare opinione e partito, semmai rapiti dal fascino e dalla capacità comunicativa di un nuovo aspirante leader, pronto a colmare le delusioni del precedente. Tutto ciò in barba alla stabilità che i mercati, i partner europei e gli investitori stranieri ci chiedono, senza nascondere che la sfiducia verso il nostro Paese è soprattutto causata dalla incontenibile volatilità.

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