19 Settembre 2024

Il tentativo di ovviare alla fine dell’età del lavoro e di conseguenza del socialismo, i due grandi fatti prodotti dalla svolta del tecno-capitalismo, ricorrendo a una serie di «piccoli sotterfugi», di espedienti per rimanere a galla

Non sapendo come ripartire dagli ultimi, la sinistra potrebbe ripartire da Ultimo. La suggestione di Goffredo Bettini, davvero l’ultimo ingraiano rimasto, ricorda al suo partito che per riconnettersi con il popolo anche le canzonette possono servire. Ma sembra una metafora perfetta del dilemma del Pd. In particolare di quella sua parte che nella battaglia congressuale si definisce più di sinistra, ascrive a un’eccessiva moderazione i recenti guai elettorali, e propone dunque una radicalizzazione del messaggio politico.
Due vicende recenti, il caso Cospito e il caso Sanremo, spiegano bene perché questa operazione non è facile, e anzi possa dare risultati opposti a quelli sperati, al limite dell’autolesionismo. Non sorretta infatti da convinzioni forti e da un pensiero politico, si trasforma in una radicalizzazione senza principi, un’agitazione vuota, che peggiora le cose per sé e migliora le chance dell’avversario.
Nella vicenda del capo anarchico, per esempio, grazie all’iniziativa di massimi dirigenti come Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia, il Pd è parso chiedere un allentamento, o addirittura l’eliminazione del regime di carcere duro per il detenuto. Intendiamoci: sarebbe legittimo e forse perfino utile che una forza di opposizione si ergesse in difesa delle libertà costituzionalmente garantite, che valgono per tutti. Ma il Pd non ha fatto questo.
Non ha chiesto l’abolizione del 41 bis per tutti, mafiosi compresi. Ha lasciato solo capire che sarebbe bene toglierlo a Cospito. Forse perché è un anarchico e non un camorrista? Forse perché a differenza dei capi di Cosa Nostra sta facendo uno sciopero della fame? Il colpo basso sferrato in aula dai Fratelli d’Italia è stato giustamente condannato: non si può davvero accusare il Pd, il partito degli eredi di Pio La Torre, di intendersela con i mafiosi. Ma l’ambiguità del messaggio uscito da quella visita in carcere, che certo non era fatta agli «ultimi» ma anzi a una qualificata rappresentanza dei primi delinquenti d’Italia, ha in ogni caso regalato un «momento Thatcher» a Giorgia Meloni alla vigilia delle elezioni regionali, consentendole di presentarsi come la sentinella di «legge e ordine».
Il caso Sanremo, per fortuna, è meno grave e se così si può dire più triviale. Ma forse lì la sinistra ha mostrato con ancor maggior ingenuità dove può condurla il «vuoto di idee» di cui l’accusa in un recente pamphlet Aldo Schiavone, rispettato intellettuale di quella parte politica. Il tentativo cioè di ovviare alla fine dell’età del lavoro e di conseguenza del socialismo, i due grandi fatti prodotti dalla svolta del tecno-capitalismo, ricorrendo a una serie di «piccoli sotterfugi», di espedienti per rimanere a galla: «Se la lotta di classe è finita, bisogna allora cambiare la classe cui appoggiarsi, non più gli operai ma gli emarginati, i senza lavoro, gli sfruttati, gli immigrati di ultima generazione… oppure sostituire il genere alla classe, oppure ancora mettere i cosiddetti diritti di libertà al posto dei diritti sociali, e così via».
Ognuno di questi «brandelli del nuovo mondo» merita ovviamente l’attenzione e il favore della sinistra. Ma nessuno di loro può sostituire l’utopia del socialismo, diventare un nuovo sol dell’avvenire, se non è sorretto da un pensiero, da un progetto di cambiamento che unifichi l’universo frammentato dei nuovi lavori fornendogli un cemento ideale, un consenso di massa e le armi della lotta politica.
Entusiasmarsi allora per le «trasgressioni» della kermesse canora, per quanto dirette contro la destra, non riempie di «principi» il vuoto lasciato dalla lotta di classe. E anzi rischia di aggrovigliare la matassa delle contraddizioni. Mi domando, per esempio, da che parte uno di sinistra dovrebbe stare nelle discussioni domestiche che pare si siano aperte in casa Ferragnez, tra il «femminismo» di Chiara, declamato in un monologo, e il «fluidismo» del marito, esibito in un ormai celebre bacio. Per usare la felice metafora di Tommaso Labate, che l’ha scritto sul Corriere, il salto da Rosa Luxembourg a Rosa Chemical è esattamente il cuore del problema di fronte alla sinistra.
Per questo, purtroppo per il Pd, ha ragione il suo segretario uscente, Enrico Letta, quando rileva che Giorgia Meloni è forte di un progetto politico chiaro. E oggi certamente più popolare, aggiungiamo noi; cioè più in sintonia con la maggioranza degli italiani. Protestare contro chi rileva questo fatto, per altro confermato di recente e per due volte dall’elettorato, sostenere che dopo cinque mesi questo possa già essere definito «il peggior governo di sempre», può servire solo a esorcizzare la realtà. Ma costruisce l’avversario migliore, quasi su misura, per la destra al governo.

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