POLITICA/LEGGE ELETTORALE
Fonte: La StampaPremio e ballottaggio, via libera alla proposta dopo lo scontro
con la minoranza del partito (ma 34 astenuti). Sì anche da Ncd
Alle otto di sera, dopo oltre tre ore di Direzione e il neo dell’incidente finale, un duro attacco del segretario a Gianni Cuperlo che polemicamente abbandona il tavolo della presidenza, la proposta di legge elettorale, già ribattezzata «Italicum», viene approvata con 111 voti a favore, 34 astenuti dell’area di minoranza e nessun contrario. Soglie di sbarramento diverse per chi si coalizza e chi no, premio di maggioranza al massimo del 18% con soglia minima per usufruirne del 35% ed eventuale secondo turno, piccole liste bloccate («collegi plurinominali», li chiama Renzi, in cui le candidature si sceglieranno tramite primarie) e ripartizione dei seggi su base nazionale per andare incontro alle richieste degli alleati di governo («ci è stato chiesto di evitare una frattura dentro la maggioranza»), il frutto dell’intesa chiusa da Matteo Renzi ottiene il via libera del parlamentino Pd, pur condito da alcune critiche, da Cuperlo («la riforma non risulta convincente») a Civati («proposta che piace a Berlusconi e meno a me»).
«Non è una riforma à la carte», mette in guardia Renzi presentandola, non si possono fare grandi cambiamenti, è il senso, «chi pensasse in Parlamento di intervenire a modificare qualcosa, manda all’aria tutto, inclusa la riforma del Titolo V e la riforma costituzionale», cioè la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, le altre parti dell’accordo che presenta davanti ai membri della Direzione, già anticipate dopo l’incontro con Berlusconi di sabato. A proposito del quale si difende dalle critiche: «A quelli che mi dicono dovevi parlare con Fi ma non con lui dico che è una contraddizione in termini» perché Berlusconi ha «creato e ricreato Fi» e allora «con chi dovevo parlare, con Dudù?». La legittimazione politica del Cavaliere, insiste Renzi, «non riguarda me, e nemmeno voi: deriva dal consenso espresso dai cittadini».
Poco prima della Direzione, il segretario è al Viminale a discutere con Alfano, poi incontra brevemente alla sede del Pd il ministro Mario Mauro: quindi presenta la legge, che vorrebbe vedere approvata entro maggio («rifiuto l’idea di legare la riforma elettorale al termine delle riforme costituzionali») e l’accompagna al monito che «chi non voterà la proposta non vota non la proposta del segretario, ma di 3 milioni di elettori alle primarie», richiamo criticato da Cuperlo, l’unico dell’area a prendere la parola: «Allora andate spediti e ci vediamo a una nuova Direzione che riconvoca le primarie la prossima volta. Funziona così un partito?».
Mentre in Direzione i democratici si confrontano sulla proposta – dai dubbi di legittimità sollevati sempre da Cuperlo («non scherziamo, non si sollevi il paravento costituzionale quando è l’alibi per non parlare di politica», replica Renzi) alla concessione che si tratta del «metodo giusto» di Veltroni, che interviene pubblicamente dopo molto tempo, e a cui il segretario si ispira invocando un Pd «a vocazione maggioritaria» –, dagli altri partiti arrivano reazioni e commenti, come il «sincero e pieno apprezzamento» per l’intervento di Renzi espresso da Berlusconi («ha rappresentato in modo chiaro e corretto il contenuto dell’intesa») e l’ok di massima all’impianto di Alfano «ma no al Parlamento dei nominati».
«E’ arrivato il momento di dimostrare se la politica sa decidere e incidere o se è solo il bar dello sport», sferza Renzi. Ora inizia in Parlamento l’iter della legge. Intanto, il segretario ha già annunciato una Direzione tra due settimane sul piano per il lavoro, e a seguire sull’Europa.