22 Novembre 2024

OPINIONI

Fonte: La Stampa

di Giovanni Orsina

A un anno e mezzo dalle elezioni, il Movimento 5 Stelle appare un’esperienza politicamente fallimentare. In diciotto mesi i grillini hanno fatto ben poca politica, partecipando di rado in maniera costruttiva alle discussioni e decisioni su questioni cruciali per il futuro del Paese. Pure iniziative come quella recente di aprire alla minoranza del Partito democratico in chiave antirenziana sembrano appartenere al novero delle mosse estemporanee più che scaturire da un ragionamento politico strutturato.

Non è certo la prima volta nella storia delle democrazie che una forza politica radicalmente alternativa a un «sistema» in difficoltà segue una linea di astinenza politica quasi completa. A suo modo, è una scelta razionale: partecipando al gioco si finirebbe per rafforzare quel regime che si considera irriformabile e del quale si profetizza il collasso imminente. Assai meglio allora starsene alla larga, evitando di compromettersi e aspettando fiduciosi il crollo.

In alcuni casi del resto l’astinenza politica ha pagato, talvolta anche dopo molti anni, e magari a valle di un insuccesso che pareva tombale. Si prenda ad esempio il gollismo – senza che con questo lo si voglia in alcun modo paragonare al M5s. Il primo partito legato a De Gaulle, il Rassemblement du Peuple Français, guadagnò l’ingresso in Parlamento nel 1951, e con numeri importanti. Entrò tuttavia ben presto in crisi anche a motivo della linea non-collaborazionista del suo leader. Qualche anno dopo l’esperienza era definitivamente fallita, il Rassemblement messo in sonno, e il Generale si era ritirato dalla vita pubblica. Sarebbe tornato prepotentemente sulla scena soltanto nel 1958 grazie alla crisi algerina – e da allora avrebbe egemonizzato la politica francese per più d’un decennio, fondando la Quinta Repubblica.

I precedenti della «scelta astinente», dunque, non sono necessariamente tutti negativi. Ma perché allora quella del M5s dev’essere invece considerata un’esperienza fallimentare? Per una ragione piuttosto semplice: perché nel grillismo la rinuncia alla tattica politica del giorno per giorno si somma all’assenza di una strategia di lungo periodo che non sia, appunto, la mera attesa del «crollo». Una volta denunciato il «regime», e dopo aver deciso di non partecipare alla sua vita – ossia: nel momento in cui esaurisce la sua fase critica –, il Movimento non poi è in grado di proporre al Paese una via d’uscita realistica e plausibile dalla sua infelice condizione attuale. È questo dunque che segna la distanza fra il grillismo e i raggruppamenti politici che, nella storia delle democrazie, hanno praticato con successo l’«astinenza tattica»: quelli una strategia, magari grezza, spesso antidemocratica, l’avevano – e, di fronte alla crisi del «sistema», offrivano un’alternativa che in quel momento poteva apparire allettante.

Inerte tatticamente, vuoto di strategia, per conservare consenso il M5s continua ad affidarsi alla frustrazione profonda e diffusa per il pessimo funzionamento della politica e delle istituzioni. Come hanno chiarito le elezioni europee, però, e come continuano a mostrare – per quel che valgono – i sondaggi, lungo questa strada i grillini hanno raccolto ormai tutto quello che potevano raccogliere. E hanno anche dato tutto quello che potevano dare, sollecitando con forza il rinnovamento dell’élite pubblica e la riduzione dei costi della politica. Non è un caso allora se il meccanismo del «voto contro» che in principio li ha premiati sembra ora giocare in loro sfavore: prima si tendeva a votare Grillo in spregio ai partiti «tradizionali»; adesso ci si rassegna a votare i partiti «tradizionali» in spregio a Grillo. E così, da elemento di dissoluzione del «sistema», il M5s si sta trasformando in un suo baluardo.

Per quanto i consensi restino consistenti, a una forza politica decisa a restare strategicamente e tatticamente quasi immobile finché non avrà il 50 per cento, restare inchiodata al 20 non serve assolutamente a niente. Salvo che non decida ch’è giunta l’ora di approfittare delle enormi opportunità offerte dall’attuale fase storica per mettersi finalmente a fare politica. Così facendo, il Movimento perderebbe probabilmente una parte dei suoi parlamentari, e sicuramente una quota molto consistente del suo elettorato attuale. Ma – chissà mai? – potrebbe perfino riuscire di una qualche utilità al Paese.

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