Cresce l’ipotesi di voto anticipato. Nuovo scontro tra Draghi e Conte. La destra pensa a una campagna elettorale contro le tasse sulla casa
La spinta per andare a votare esiste ed è più diffusa di quanto si pensi. A Montecitorio la suggestione è trasversale, corre da destra a sinistra, con un’eterogenesi dei fini impensabile fino a qualche settimana fa. D’altronde, se viene accarezzata persino nei corridoi di palazzo Chigi – pur con tutta la prudenza che si richiede in tempo di guerra -, per le forze di maggioranza la tentazione si trasforma in necessità di farsi trovare pronti.
Le ultime scosse sono arrivate dal Movimento 5 stelle, con cui Mario Draghi non è mai riuscito a instaurare un dialogo sereno. Prima la norma per il nuovo inceneritore di Roma che ha provocato l’astensione in Consiglio dei ministri dei Cinque stelle, poi le critiche lanciate a freddo contro il superbonus grillino. Giuseppe Conte è furioso: «Dicono che vogliamo uscire dal governo, ma inizio a pensare che qualcuno voglia spingere il M5S fuori dall’esecutivo», tuona in conferenza stampa. E a riprova di un rapporto ormai logoro con il premier, prosegue il cannoneggiamento: «Io non so di quali Draghi parlare, se del Draghi che in Cdm approva la norma che proroga il superbonus o se del Draghi che va al Parlamento europeo a parlare male di una misura che ha consentito a lui di andare in giro per l’Europa a fregiarsi di un Pil del 6,6%».
Parole dure alle quali il presidente del Consiglio non replica direttamente, ma trapela tutto il suo stupore per i toni utilizzati dal suo predecessore. E da fonti di governo, dove i toni di Conte vengono considerati più affini a una campagna elettorale che non a un confronto politico, si aggiunge una puntualizzazione: quando il leader M5S dice che l’aumento del Pil italiano è dovuto al superbonus dice una cosa imprecisa, visto che il contributo alla crescita di tutto il settore dell’edilizia rappresenta l’1%. Eppure, al di là delle schermaglie mediatiche, il leader M5S è cosciente che nessuno, in Italia, vuole che si apra una crisi. E i sondaggi, nel Movimento, sono da sempre la prima bussola con cui si orienta il cammino. Non a caso, conversando con La Stampa, Conte tira il freno: «È necessario un governo che faccia le cose. Non sarebbe positivo un governo che cadesse e anticipasse la fine della legislatura». C’è il Pnrr sul quale l’esecutivo deve «lavorare a ritmo sostenuto», ricorda l’ex premier, e poi «se questa guerra continua, sappiamo che una recessione pazzesca colpirà l’Unione europea». Da una parte si mostra dunque responsabilità, dall’altra resta alta la tensione con palazzo Chigi. Un atteggiamento che allenta i legami con il Pd di Enrico Letta. Conte ammette di non parlare con il segretario dem da qualche tempo, «complici gli impegni»; dall’altra parte Letta bacchetta chi va «a dividere, a distinguere in ogni momento, ogni cosa, rendendo il governo più debole».
Una stilettata rivolta anche a Matteo Salvini. Nel centrodestra si fanno già i calcoli: «Se andassimo a votare presto vinceremmo, anche perché il campo largo di Letta è un disastro. Fra un anno, chissà». Qui la battaglia considerata decisiva è quella sul catasto, contenuta nella delega fiscale. «Le trattative con il Mef sono su un binario morto», racconta un deputato in contatto con i tecnici di Via XX settembre. Nessuno vuole far cadere il governo, ma nemmeno cedere su un tema così identitario come la casa. Matteo Salvini di allusioni ne ha fatte parecchie, «sul catasto vado fino in fondo», ha detto pubblicamente. In privato però è più esplicito: «Se aumentano le tasse, allora non vedo l’ora di andare a votare. Avrei la campagna elettorale pronta», ha ripetuto ai vertici con gli alleati. Non è una dichiarazione di guerra, ma il segno di un’epoca in cui può succedere di tutto. Anche i più fedeli a Draghi, come il ministro Giancarlo Giorgetti, avvertono da tempo che a settembre la situazione per il Paese sarà molto complessa e, quindi, farsi trovare al governo non garantirà alcun vantaggio elettorale, al contrario di quello che succederà a Fratelli d’Italia, che infatti non chiede più le elezioni.
Per Silvio Berlusconi, neanche a dirlo, la casa è un tabù inviolabile, simbolo di uno dei suoi più grandi trionfi elettorali e quindi guai a chi la tocca. Ad Arcore di elezioni anticipate si parla con meno disinvoltura. Tra gli azzurri, e non da oggi, convivono diverse anime, quella governista e quella che vede il rapporto con la Lega come strategico e qui si annidano i rischi per quel che resta della legislatura. Renato Brunetta annusa il problema: «Andare a elezioni anticipate in questo momento sarebbe una follia». Ma il vento sta cambiando, basta ascoltare le parole di Alessandro Cattaneo, non certo un nemico di Draghi, che attacca il governo sull’ipotesi di cancellare il superbonus: «Serve un chiarimento politico. Così come è giunto il momento di fare chiarezza anche su tempi, modi e metodi». Un dirigente di Forza Italia si sfoga in Transatlantico: «Come fa Draghi a non capire che porre le questioni in questo modo crea solo tensioni? La verità è che lui è stanco di noi e noi siamo stanchi di lui».
Anche qui poi ci sono le resistenze, primo tra tutti il corpaccione dei parlamentari già molto attivo nei giorni del Quirinale per evitare una fine anticipata della legislatura. La pensione si matura in autunno e quindi non è più in discussione, ma resta il fatto che i 2/3 degli attuali deputati e senatori non saranno rieletti. I leader stanno ricevendo pressioni di ogni tipo, compresi deputati in lacrime che chiedono di essere ricandidati. Ma molto passerà dalla legge elettorale. Salvini non è ancora convinto dell’opportunità di cambiare e andare incontro a un sistema proporzionale, ma potrebbe cedere se Giorgia Meloni continuerà a salire nei sondaggi. Conte assicura che lo sentirà per parlarne, perché «una legge proporzionale va fatta. Andare al voto con la riduzione dei parlamentari e il Rosatellum vuol dire rischiare di allontanare ancora di più i cittadini dalla politica». Ed è soprattutto sulla voglia dei partiti di una nuova legge elettorale che si pesa il loro desiderio di tornare al voto.