Fonte: Repubblica
di Ezio Mauro
Nell’avanzata xenofoba la rabbia degli “ultimi” dimenticati dall’Europa
C’e ormai un rintocco generale, che vale per tutta l’Europa, per ogni campana elettorale che suona nei diversi Paesi, nelle regioni, nei comuni, e batte regolarmente l’ora della nuova destra populista e xenofoba. Pochi giorni dopo il “giuramento” simbolico di fedeltà europeista dei tre leader di Francia, Germania e Italia riuniti a Ventotene, un movimento anti-immigrati nato soltanto tre anni fa si porta via il 22 per cento del Meclemburgo-Pomerania al suo primo test elettorale, superando clamorosamente la Cdu proprio nel Land dove c’è il collegio elettorale di Angela Merkel. Si rompe dunque il tabù tedesco dell’estrema destra tenuta per anni a bada dalla diga centrista della Cdu. Quella diga continua ad allargare le sue crepe elezione dopo elezione indebolendo la Cancelliera e la sua coalizione in vista delle elezioni politiche del prossimo anno.
Mentre il populismo di destra completa la sua geografia continentale attaccando la Germania dopo aver conquistato l’Europa di mezzo in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, in attesa che si voti per il presidente austriaco.
Proprio un anno fa la Merkel aprì le porte ad un milione di profughi siriani spiegando semplicemente che questo era un dovere per un Paese forte come la Germania e se ne assunse la responsabilità con una promessa: “Wir schaffen das”, ce la faremo. Oggi quella politica coraggiosa, che segnò un’inversione di rotta per una Ue abituata a considerare l’immigrazione un problema del Sud, si ritorce contro la cancelleria, con un moltiplicatore politico fantasmatico che lavora sulla paura e non sui dati reali del fenomeno. Proprio il Meclemburgo è infatti il Land con l’indice più basso di immigrati, e con la disoccupazione ferma al 9 per cento. Ma i numeri non contano più di fronte all’evidenza simbolica dei corpi dei migranti che il populismo spoglia di ogni diritto, per ridurli a quantità, ingombro, e soprattutto diversità. Questo vale per le grandi strade di Monaco o per le piccole vie del centro di Baden Baden, dove la presenza del velo integrale nei gruppi di immigrati è massiccia. Ma vale soprattutto nei Laender dell’ex Germania orientale come il Meclemburgo dove l’egoismo è frutto di un debito della storia, universale dunque inestinguibile, e dove la cittadinanza democratica è una conquista troppo recente per non rappresentare un credito politico, ancora e sempre aperto e difficile da condividere con altri.
Ma le ragioni tedesche spiegano solo in parte quel che sta accadendo intorno a noi. La questione è europea, anzi chiama in causa l’intero Occidente e non solo, tanto che la Ue al G20 in Cina ha chiesto aiuto al mondo. Guerre, fame, carestie e povertà mettono in marcia e per mare milioni di persone che cercano una sponda di libertà dove appoggiare il futuro dei loro figli. L’Europa è la terra promessa naturale, geograficamente ma anche politicamente perché è un insieme di Paesi cristiani (la fraternità) che credono nella democrazia dei diritti (l’uguaglianza) e nella democrazia delle istituzioni (la libertà). Investita da quest’onda migratoria l’Europa non riesce a conciliare i suoi doveri morali di accoglienza con i suoi doveri politici, la sicurezza da garantire ai cittadini.
Se aggiungiamo la sfida di morte che il terrorismo islamista ha dichiarato alla democrazia europea, con omicidi rituali nel cuore delle nostre città, comprendiamo facilmente che il riflesso d’insicurezza è ai livelli di guardia. Se pensiamo che la più lunga crisi economica del secolo si sta trasformando in una crisi permanente del lavoro, concludiamo che la misura è colma.
Sia l’elemento simbolico – fortissimo – sia l’elemento reale, concreto, di queste tre crisi congiunte si scaricano soprattutto sulla fascia più debole della nostra popolazione. Gli anziani, le persone sole che vivono nei piccoli centri e con l’immigrazione si trovano sotto casa un mondo rovesciato che non avevano mai avuto modo di conoscere, e temono di perdere il filo identitario di esperienze condivise, smarrendosi in un’incertezza di comunità che li rende egoisti di futuro, esclusivi nel lavoro, gelosi del welfare, nato come strumento di solidarietà e oggi rovesciato nel suo contrario. Questi soggetti infragiliti dalle tre crisi tornano come all’inizio dello Stato moderno a chiedere protezione al potere pubblico, pronti a barattare quote di libertà (i muri che escludono, ma ci rinchiudono) in cambio di quote di sicurezza. Il problema è che la loro libertà in vendita non vale nulla al fixing degli spazi sovranazionali dove corrono i flussi delle informazioni e della finanza, e dove il potere non è un’entità afferrabile, riconoscibile e riconosciuta con cui negoziare. E il buon vecchio Stato nazionale, se anche fosse interessato allo scambio, non potrebbe garantire la sicurezza che gli viene richiesta, perché le tre crisi superano le sue dimensioni e la sua potestà di governance.
La domanda – politica – di tutela e rassicurazione rimane dunque senza risposta. Ed ecco nello spazio vuoto il sentimento generale che oggi unifica l’Europa: la sensazione che il mondo sia fuori controllo, che i fenomeni siano più forti di chi li dovrebbe governare, ormai autonomi, che la politica e le istituzioni siano fuori gioco. Tutto questo aumenta la nuova solitudine repubblicana in cui vive il cittadino che non si sente più tale, perché avverte che per i suoi interessi vitali la posta politica in gioco è comunque bassa, le offerte promettono ciò che non possono oggettivamente mantenere. È uno smarrimento democratico che fa saltare il vincolo di interdipendenza tra il singolo e il potere pubblico, perché non si cercano più risposte collettive a problemi ormai vissuti come individuali. Lo Stato e il cittadino diventano così la nuova coppia malata della post-democrazia, costretti a vivere insieme ma indifferenti l’uno all’altro, con ogni passione civile ormai spenta.
Tutto questo dovrebbe creare un problema enorme alla sinistra, visto che riguarda la fascia più debole della popolazione. Dovrebbe creare un problema gigantesco a tutte le forze democratiche, visto che si erode sotto i nostri occhi il perimetro della rappresentanza, su cui si fonda proprio la democrazia nella forma che abbiamo scelto. E invece, nella consunzione dei partiti, delle ideologie e delle culture, una sola presenza politica resiste in quel mondo smarrito e infragilito di post-cittadini che cercano tutela e risposta ai loro timori. È il populismo senza storia e senza cultura che si fa semplice specchio delle paure sparse, alimentandole invece di risolverle, inventando soluzioni paramilitari (muri, affondamenti, respingimenti, marchi, filo spinato) che già nella concezione ribadiscono e fissano psicologicamente lo stato d’assedio che vorrebbero risolvere. Sono risposte primitive e propagandistiche a problemi complessi. Parlano ad una paura spesso irrazionale, però esasperata, che non vede più un “conduttore” politico moderato e si rivolge a quel che trova, comprese le incitazioni a seguire gli istinti più bassi, lanciate dalle forze xenofobe di destra e della pseudosinistra.
Il risultato è ciò che oggi vediamo in Germania, dopo averlo visto ovunque. Chiamiamo le cose con il loro nome: masse popolari fuoriescono dal “sistema” dello Stato-benessere, dal “sistema” dell’economia sociale di mercato, dal “sistema” della democrazia occidentale articolata su una destra e una sinistra, dai nomi diversi ma dal carattere condiviso, dal “sistema” dei conflitti sociali auto-controllati. Questa è la novità, il problema che abbiamo davanti. Per ora, il populismo-specchio trasforma quel sentimento di smarrimento di cittadinanza in un risentimento da cui trarre semplici e proficui dividendi elettorali: non in politica, perché non ha gli strumenti culturali per farlo, e perché vive nel presente titanico di una rappresentazione dannata, a cui per definizione non c’è futuro, se non il crollo. È la negazione della politica, il moderno nichilismo. Ma il moderno spazio per una vera politica di governo europeo dell’emergenza esiste, per garantire l’accoglienza ai profughi e la sicurezza ai cittadini: ricostruire il sistema coniugando i diritti degli ultimi con quelli dei penultimi.