19 Settembre 2024
Olaf Scholz1

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La Germania non ha ancora inviato i mezzi corazzati promessi all’Ucraina. Le critiche in patria a Scholz: «Rovina l’immagine della Germania». E il presidente polacco Duda accusa Berlino di avere mentito

Che fine hanno fatto le armi pesanti promesse dal governo tedesco all’Ucraina? Perché dal 28 aprile, quando il Bundestag ha autorizzato la fornitura di 30 carri antiaerei Gepard e di altri blindati, l’esercito di Kiev non ne ha ancora visto uno? Eppure, ancora al Forum di Davos Olaf Scholz, dopo aver condannato «l’imperialismo» di Putin, ha nuovamente sbandierato la svolta epocale della Germania, che «per la prima volta ha deciso di consegnare armi, inclusi ordigni pesanti, in una zona di guerra».
C’è uno iato tra le parole e gli atti del cancelliere, ormai da giorni nuovamente nel mirino non solo per la sua cautela e riluttanza, ma anche per la confusa comunicazione con cui i suoi collaboratori e perfino alcuni esponenti del governo cercano di arrampicarsi sugli specchi per dare una motivazione sensata al ritardo. «Siamo stanchi di aspettare che la Germania ci consegni le armi», ha detto il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. Mentre un’inchiesta di Die Welt, pubblicata domenica, accusa il governo tedesco di «aver ridotto al minimo il sostegno militare a Kiev», l’ultima consegna di missili antiaerei e anticarro risalendo al 25 marzo. «C’è una palese assenza di volontà politica», dice con il solito linguaggio poco diplomatico l’ambasciatore ucraino a Berlino, Andrij Melnyk. «Scholz rovina l’immagine della Germania», ha scritto in un editoriale la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Di fatto, nel caso dei Gepard, dotati di due cannoni da 35 millimetri e di un radar di cui le truppe ucraine avrebbero bisogno come il pane, i primi 15 non dovrebbero essere consegnati prima di fine luglio, mentre per il resto bisognerà aspettare fine agosto. La scusa ufficiale è che i carri devono essere «attrezzati». Ma in realtà secondo Die Welt, i tedeschi non hanno ancora iniziato la formazione di 5 settimane dei soldati ucraini, necessaria per manovrarli. «Cosa aspettiamo? Perché non acceleriamo?», si è chiesto perfino un membro della maggioranza, il verde Anton Hofreiter, che guida la Commissione esteri del Bundestag.
Ma l’accusa più grave, che sfiora l’incidente diplomatico, è quella lanciata dal presidente polacco, Andrzej Duda, secondo il quale il governo tedesco «non ha mantenuto la promessa» di rifornire la Polonia con i carri Leopard, in sostituzione dei blindati di fabbricazione sovietica che Varsavia ha già consegnato a Kiev. La Polonia è stata finora all’avanguardia dell’aiuto bellico diretto e indiretto a Kiev, seconda solo a Washington e Londra. Ha assicurato un sostegno su quattro assi, partecipando ben prima dell’invasione al training di militari ucraini e fungendo da vera retrovia strategica, con gli aiuti Nato che arrivano nello scalo di Rzeszow e proseguono verso Est con i camion lungo la E40 oppure sulla linea ferroviaria. Inoltre, Varsavia ha spedito oltre 230 tank, 40 blindati, artiglieria di grosso calibro a lungo raggio, lanciarazzi, piccoli droni, missili per i caccia e sistemi antiaerei portatili. Numerosi corazzati sono stati mandati al fronte, altri hanno composto una brigata di riserva unitamente a blindati olandesi. Infine anche se non sappiamo quello che non sappiamo, c’è stata la componente intelligence e ciò che non può essere dichiarato. La polemica con Berlino nasce dal cosiddetto accordo del Ringtausch, in base al quale il governo tedesco si era impegnato a sostituire con dei moderni Leopard una parte dei T-72 «made in USSR» inviati agli ucraini. Una procedura già applicata con successo con Praga, che ha ricevuto dai tedeschi 14 Leopard del tipo 2A4, e ora con la Grecia che in cambio di carri ex sovietici riceverà dei Marder.
Ma con la Polonia tutto è fermo, da cui il rimprovero di Duda alla Germania di essere inaffidabile. Il portavoce di Scholz ha detto che il governo è «esterrefatto» dall’accusa e che sin dall’inizio Berlino aveva detto di «voler vedere cosa si poteva consegnare». Secondo fonti della Difesa, il nodo è che Varsavia non si accontenta degli stessi Leopard dati a Praga, ma chiede quelli di ultima generazione, i 2A7, di cui la stessa Bundeswehr non ha che 50 esemplari. Ma Hofreiter ammette che «la critica polacca è comprensibile». Lo scontro tra Berlino e Varsavia, già carico di zavorra storica, fa intravedere dell’altro. Come spiega Sylvie Kauffmann, editorialista di Le Monde, dietro l’appoggio a Kiev c’è un disegno strategico della Polonia, che anche battendosi per un’adesione veloce all’Ue, vede un forte legame con l’Ucraina in un’Europa futura, in grado di far da contrappeso se non di soppiantare il tradizionale binomio franco-tedesco.

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