19 Settembre 2024

Fonte: La Stampa

di Giordano Stabile

«Le missioni all’estero sono diventate un’eccellenza italiana. Con due punti di forza: l’addestramento e il livello di correttezza, etico, che ci viene riconosciuto da tutti. Un modello che, se ci verrà richiesto, siamo in grado di replicare anche in Libia». Il capo di Stato maggiore, generale Claudio Graziano, in Libano, alla missione Unifil, è ancora il “Comandante”. Undici anni fa la missione Onu ha preso il via sotto la sua guida sulle macerie ancora fumanti dell’ultima guerra israeliano-libanese. Oggi il Sud del Libano, tra uliveti e piantagioni di banane, sembra un’oasi di pace anche se, si sa, il fuoco cova sempre sotto la cenere e non «bisogna mai smettere di vigilare».

L’Italia è impegnata in molte missioni all’estero, con settemila militari coinvolti. In questo momento qual è la più sensibile?
«Tutte le missioni all’estero sono sempre delicate. In questo momento è ricominciata l’offensiva a Mosul e quindi torna sotto i riflettori il nostro impegno in Iraq. Siamo secondi solo agli Usa, con 1400 uomini, nell’addestramento, con gli aerei di sorveglianza e ricognizione, nella messa in sicurezza della diga di Mosul».

C’è un rischio di coinvolgimento dei nostri soldati?
«In questo momento assolutamente no. Ma non dimentichiamo che siamo a soli 20 chilometri dalla linea di contatto e quindi il nostro compito è di vigilare, di essere prudenti. Noi siamo andati lì per sorvegliare la zona della diga ma con le capacità di rispondere a ogni situazione. In ogni caso la minaccia dell’Isis, rispetto a un anno fa, è molto meno forte. Detto questo, la missione in Iraq riassume tutti gli aspetti di una moderna missione: aiuto umanitario, addestramento, impegno militare, anche in chiave anti-terrorismo».

Un modello replicabile in Libia?
«A Misurata abbiamo aperto un ospedale militare. Che serve a portare aiuto anche ai civili, a curare bambini, non solo i combattenti feriti nella lotta all’Isis. A terra siamo impegnati con circa 300 uomini, è un messaggio di sostegno alla Libia, e quindi contribuisce alla stabilità del Paese. E, indirettamente, aiuta anche nella lotta contro il terrorismo. E poi c’è già un grosso impegno contro la rete degli scafisti, nel controllo delle vie di comunicazione per contrastare il traffico degli essere umani, controllare il flusso dei migranti, con le missioni Mare Sicuro e Sophia. Pochi giorni fa si sono diplomati i primi 89 militari della Guardia costiera libica, che avrà un ruolo nuovo, sempre più importante».

Si può fare di più, arrivare allo schieramento di un vero contingente?
«Ci vogliono le condizioni per lo schieramento di una forza multinazionale sul territorio nazionale. In Libia può essere fatta solo su richiesta del governo locale. Le forze armate italiane sono in grado di fare di più. Noi siamo pronti ma la precondizione è la richiesta libica. La Libia e’ una priorità dell’Italia, come lo sono i Balcani, e il Medio Oriente. Dalla stabilità in queste aree deriva la nostra sicurezza».

Che cosa abbiamo imparato dal Libano?
«L’innovazione della risoluzione Onu 1701 è stata quella di chiedere alle forze armate libanesi di assicurare la sicurezza del territorio e a Unfil di supportarle. Questa è la chiave: la missione riesce quando sono le forze locali protagoniste. Adesso i libanesi sono molto impegnati in altre aree. La minaccia maggiore viene dal terrorismo, dall’Isis, al confine con la Siria. E quindi Unifil sopperisce a questa mancanza. Ma è importante che i libanesi restino centrali. Non dimentichiamoci che fra Libano e Israele non c’è ancora un accordo di pace. Noi vegliamo sul cessate il fuoco. In attesa che i due stati trovino l’accordo di pace».

Che cosa è cambiato rispetto a quando era lei alla guida?
«Quando c’ero io, ormai una decina di anni fa, c’era una sensazione di pericolo immediato e l’appoggio a Unifil era immediato. Adesso serve il supporto internazionale per confermare alle parti che questa cessazione delle ostilità è limitata, può essere esposta a provocazioni di ogni tipo e resta necessario che Unifil abbia la massima libertà di movimento e manovra».

Vede minacce all’orizzonte?
«La missione ha un grande successo e i libanesi guardano all’Italia come a un partner corretto, equidistante. C’è un fattore etico da non sottovalutare. Credo che i contingenti italiani nella storia siano quelli che hanno il più alto “punteggio” in termini di correttezza. Gli è sempre stato riconosciuto un livello etico, un rapporto con la popolazione corretto».

L’America di Trump chiede agli alleati della Nato, e quindi anche a noi, di spendere di più per la difesa. Dove investirebbe i soldi in più che dovessero arrivare?
«La decisione spetta alla politica, al governo. Io ho l’impegno di mantenere al massimo l’efficienza delle nostre forze. Abbiamo avuto un impegno importante nell’ammodernamento dei mezzi. Credo che dobbiamo fare attenzione alle cosiddette spese di esercizio, come la manutenzione, le scorte, l’addestramento. Il parco mezzi va mantenuto, rinnovato, e sull’addestramento non si può risparmiare. Il soldato deve essere in grado di operare in ogni condizione. Si può risparmiare su tutto ma non su ciò che garantisce la sicurezza ai nostri uomini. Del resto nel campo dell’addestramento siamo diventati un’eccellenza. Lo vediamo anche qui in Libano con la missione congiunta Mibil, con le forze libanesi, che si rivolge a un’audience d’élite, come le truppe di montagna».

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