Fonte: Corriere della Sera
di Sabino Cassese
L’intreccio con l’Europa
L’Eesecutivo che il Parlamento appena eletto dovrà dare al Paese non sarà chiamato soltanto a governare l’Italia, ma anche a partecipare alla guida dell’Unione Europea.
Questo doppio ruolo del governo nazionale non è scritto nella nostra Costituzione del 1948. Essa assegna all’esecutivo soltanto i compiti di dirigere la politica nazionale, di partecipare alla formazione delle leggi (tre quarti di esse sono opera del Consiglio dei ministri), di indirizzare l’amministrazione pubblica.
A questi si è aggiunta la funzione di co-governare l’Unione Europea. Come ha acutamente dimostrato Sergio Fabbrini, nella parte di analisi del suo libro «Sdoppiamento. Una prospettiva nuova per l’Europa» (Laterza, 2017), i Parlamenti nazionali hanno accettato di conferire sempre nuove funzioni all’Unione Europea a patto di co-gestirle attraverso gli esecutivi nazionali, per non farsele sfuggire interamente di mano. A una Costituzione europea sovranazionale se ne è affiancata una intergovernativa.
I «sovranisti» di casa nostra non comprendono che, così, se qualcosa si cede, tuttavia, molto si guadagna, potendo far sentire la propria voce anche in ambiti ai quali una volta i singoli Stati non potevano accedere.
In quest’Europa intergovernativa, però, bisogna sapersi far ascoltare. E questo è difficile per la breve durata dei nostri governi e delle nostre politiche. Nell’intervista data al Corriere il 12 marzo scorso, Renzi ha osservato che la politica italiana «è fatta di veloci cambi». I frequenti ricambi di governo, fino al 1993, erano compensati dalla continuità della presenza della Democrazia cristiana. Cessata questa, ci si trova in condizione di maggiore inferiorità nei confronti dei nostri partner. Nei sedici anni di attività come cancelliere, Kohl ha avuto come interlocutori per l’Italia ben undici capi di governo diversi. Negli ultimi dodici anni, la cancelliera Merkel ha trattato con sei diversi capi di governo italiani. L’asimmetria tra presenza italiana e presenza degli altri Paesi è evidente. I «veloci cambi» rendono difficile la nostra partecipazione al governo europeo, che richiede un minimo di continuità. Questa è tanto più necessaria ora, a causa degli importanti lavori in corso in sede europea, l’uscita del Regno Unito e il completamento dell’Unione bancaria, questioni sulle quali la voce dell’Italia è molto flebile. Le recenti elezioni hanno dato la vittoria a due nuove forze politiche (la nuova Lega e il Movimento Cinque Stelle), ma dando ai perdenti il ruolo di aghi della bilancia. Si aspetta che qualcuno faccia la prima mossa, dopo le molte «finte» di questi giorni. Sono in ballo due tipi di decisioni molto diverse: la scelta dei presidenti delle Camere, che è una decisione istituzionale; la formazione del governo, che è una scelta politica. Quest’ultima va fatta ricordando che l’Italia si governa anche governando l’Europa. Sono, quindi, necessarie o continuità di governi, o almeno continuità di politich