22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Ferruccio de Bortoli

La maggioranza politica è fragile. Quella numerica invece resiste. Le truppe sono relativamente compatte e disciplinate. Ai leader devono tutto


La tenuta del governo gialloverde è, almeno in apparenza, un mistero. Un mistero gaudioso. Certamente lo è per Salvini che avviò una fortunata campagna elettorale esibendo rosario e Vangeli. Ma un po’ anche per Di Maio che affida le proprie speranze alla carta plastificata del reddito di cittadinanza. Esibita come fosse una prodigiosa reliquia laica. Non è un mistero invece il consenso che ancora il governo Conte, a dispetto di tutto – e l’elenco sarebbe davvero lungo – ottiene secondo i sondaggi. Gioca da solo. L’opposizione è inesistente. Almeno per ora. L’elettore potenziale non ha davanti a sé una solida e credibile alternativa. E non può inventarsela per rispondere a un sondaggio. Si rifugia nel «non so». Si astiene. Dunque, il principale e addirittura insperato vantaggio per una maggioranza divisa su tutto è quello di esprimere una sorta di bipolarismo di governo. Di racchiudere al proprio interno due alternative politiche ogni giorno sempre più distanti e contrapposte. E ciò autorizza Lega e Cinque Stelle ad essere – ancora di più con l’avvicinarsi di una lunga sequenza di consultazioni elettorali – contemporaneamente di lotta e di governo. Più a loro agio nella attività febbrile della prima che nell’esercizio noioso e riflessivo del secondo. Ogni giorno sembra in larga parte dedicato a trovare gli elementi di divisione più che le necessarie opportunità di compromesso.
La maggioranza politica è fragile. Quella numerica invece resiste. Le truppe sono relativamente compatte e disciplinate. Ai leader devono tutto. Gli scenari su quello che potrebbe accadere dopo le elezioni europee del prossimo maggio sono i più diversi. Specialmente se la Lega dovesse progredire a fronte di un arretramento grillino. L’eventuale tentazione di Salvini di andare al voto anticipato, riunendo un centrodestra, mai del tutto abbandonato, non dispiacerebbe ai Popolari europei che, comunque vadano le cose, saranno decisivi sui futuri assetti delle istituzioni comunitarie. Ma vi sono alcuni formidabili collanti sui quali la maggioranza gialloverde può fare affidamento. Il primo è il dividendo di potere nelle nomine. Al quale ci si abitua tanto più velocemente quanto più lungo è stato il digiuno. Un compromesso spartitorio si trova sempre. Anche sdoppiando le caselle. Come stanno tentando di fare con le nomine di Paolo Savona e Marcello Minenna alla Consob, la Commissione per le società e la Borsa. O con la decisione di reintrodurre il consiglio di amministrazione per la successione di Tito Boeri all’Inps. Nel caso di Savona la polemica sulle incompatibilità è rovente. Indiscusso il valore accademico della persona. Non si può certo dire però che la sua nomina rappresenti un segnale di rinnovamento e, soprattutto, di ringiovanimento dell’autorità di vigilanza. L’Italia è un Paese di vivace e resistente gerontocrazia. Conta l’esercizio del potere, la logica spartitoria. Quella che un tempo si chiamava, con il termine coniato da Alberto Ronchey, lottizzazione.
L’altro straordinario collante è la spesa pubblica. L’illusione che ci si possa espandere scommettendo su fantomatici moltiplicatori del reddito. Sul fare più deficit non litiga nessuno. La manovra metterà sulle spalle delle prossime generazioni, tra reddito di cittadinanza e pensioni anticipate, un centinaio di miliardi in più di debito. Ma è il caso di dividerci per così poco? Non ci si accapiglia nemmeno se, con le soglie della flat tax, si incoraggiano i pagamenti in nero che ancora qualcuno ritiene una espressione della libertà individuale. Non ci si preoccupa dell’effetto dei condoni sul gettito fiscale e sulla lotta all’evasione. E, per inciso, sul già modesto senso civico. Non si sa nulla, per esempio, sull’esito delle rottamazioni. Uno strano silenzio.
Accanto a questi due efficaci collanti, che tennero insieme nelle precedenti legislature altre volubili maggioranze, c’è un adesivo insperato. Imprevedibile. In particolare per coloro che al governo agitano, un giorno sì e l’altro pure, l’opposizione dell’establishment, dei salotti della finanza. Ed è la rapidità con cui la classe dirigente si acconcia alle nuove dinamiche del potere politico. Non solo quella pubblica, ma anche quella privata. Non si disdegna di cercare un contatto con Davide Casaleggio salvo poi lamentarsi per la scarsa trasparenza della governance Cinque Stelle e per il futuro della democrazia rappresentativa. Si cercano le più diverse entrature per arrivare a Salvini che «è uno che capisce al volo e decide». Si rivalutano le virtù amministrative che certo non mancano nella parte leghista. Si scoprono personaggi «sorprendentemente moderati» o «dopotutto competenti». Ci si adegua. Come è sempre avvenuto. Si soccorre il vincitore. Se poi non ha rivali o alternative lo si blandisce, salvo mollarlo al primo refolo di vento contrario. L’importante è il dividendo personale, aziendale o di settore. E al resto? «Non tocca a noi pensarci».

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