22 Novembre 2024

Fonte: Il Corriere della Sera

di Antonio Polito

Se nella gestione dell’emergenza le cose non sono andate davvero per il meglio, ci sono primi preoccupanti segnali che possano andar male anche per la gestione della ricostruzione


C’è un detto secondo il quale i popoli hanno i governi che si meritano. Non è sempre così. Il mondo è pieno di nazioni che meriterebbero di meglio. Poi ci sono anche governi che pensano di meritarsi cittadini migliori, e vorrebbero «nominare un nuovo popolo», come nel celebre aforisma di Bertolt Brecht. Entrambi i casi possono applicarsi all’Italia di questo triste Natale 2020.
Moltissime cose, infatti, il governo avrebbe potuto e ancora potrebbe farle meglio. Non parliamo solo del giuridichese bizantino con cui ha regolato, all’ultimo momento, il Natale di sessanta milioni di italiani, e che ancora dà adito a dubbi, incertezze e dibattiti nelle famiglie. Ogni norma ormai rimanda a tante altre e a sua volta genera pagine e pagine di interpretazioni autentiche. Sul sito del governo compaiono frasi tipo «se la seconda casa si trova nello stesso comune ci si potrà sempre andare», che sono all’evidenza prive di senso comune. Oppure: «Il concetto di abitazione non ha una precisa definizione tecnico-giuridica». La confusione dei testi è certo colpa delle mani dei burocrati che li hanno scritti. Ma essa deriva da una logica tutta politica di compromesso al ribasso e mediazione continua. Nel governo ci sono i difensori delle seconde case e quelli dei parrucchieri, i favorevoli a riaprire la scuola e i fautori della riapertura dei negozi. E tutti vanno più o meno accontentati.
Il risultato che ne deriva è sempre «too little, too late», troppo poco e troppo tardi. Dopo il primo lockdown, il più rapido d’Europa, è come se il governo avesse perso il tempo. Insegue il virus, affannosamente e spesso inutilmente. Con il contributo decisivo dei governatori regionali, il sistema dell’Italia a colori ha così perso presto la sua potenziale efficacia: per la prima volta da un mese e mezzo l’indice Rt ha ripreso a crescere.
A questo si aggiunge una specie di ossessione della buona notizia, offerta ai cittadini come lo zuccherino ai bambini insieme alla medicina: non viaggiate in estate, però vi diamo il bonus vacanze; non affollate le vie dello shopping, ma eccovi l’incentivo del cashback; non ci sono abbastanza soldi per i ristori, ma potete fare la lotteria per la bici; accettate una zona rossa in novembre e così salveremo il Natale; accettatela anche a Natale e salveremo le scuole a gennaio… Questa bulimia del messaggio che affligge Palazzo Chigi funzionerà forse per gli indici di gradimento, ma è imprudente, e genera ansia e sconcerto nell’opinione pubblica, che si chiede: ma se le cose stavano andando così meglio, perché all’improvviso vanno di nuovo peggio? Una comunicazione più sobria, e che non si vanti mai più del «modello Italia» almeno finché avremo il triste record dei morti in Europa, aiuterebbe tutti noi a essere invece più consapevoli della drammaticità e anche della imprevedibilità della situazione. Al contrario, si stanno creando un po’ alla volta due Italie: quella che ha paura e quella che è stanca, quella in fila per lo shopping e quella in fila per il pane, quella che studia come raggiungere la seconda casa e quella chiusa in casa in attesa di un tampone per sé o per i propri cari. Il clima di sforzo nazionale e l’afflato di solidarietà si sono gravemente indeboliti, e anche per questo la seconda ondata ci sembra perfino più cupa della prima.
Se nella gestione dell’emergenza le cose non sono andate davvero per il meglio, ci sono primi preoccupanti segnali che possano andar male anche per la gestione della ricostruzione. Ieri il ministro incaricato ha apertamente ammesso il ritardo del piano per gli investimenti europei: «Siamo fermi in Consiglio dei ministri dal 7 dicembre per una verifica politica di cui non si vede via d’uscita», ha dichiarato Enzo Amendola. C’è chi prevede almeno un altro mese, ammesso che alla fine ci sia ancora un governo: proprio ieri Italia viva ha annunciato che «tra Conte e maggioranza la fiducia è finita». Nè siamo stati in grado di presentare, come invece è avvenuto in Francia già da tempo, «un piano preciso e dettagliato in decine di capitoli, nei quali sono elencati uno per uno gli obiettivi, i fondi disponibili, le autorità amministrative responsabili e il giorno di consegna dei singoli progetti», ha scritto ieri Romano Prodi, non certo un supporter dell’opposizione.
La squadra di Conte ha però ancora una freccia al suo arco: sta in piedi perché pochi vogliono le elezioni anticipate. Non è detto che ne uscirebbe un governo migliore, e anche chi lo crede esita a fare la prova mentre la casa brucia. Questo, ancora per qualche mese, può essere un viatico sufficiente per provare a raddrizzare la barra del timone, e vincere almeno il terzo tempo della partita: la campagna di vaccinazione. Sappiamo che non sarà decisiva, che i suoi effetti non saranno istantanei, che non si esaurirà in un mese o due, e che non dà garanzie assolute di efficacia, soprattutto se il virus comincerà a mutare troppo. Ma è l’unica speranza che abbiamo, l’unico «spirito di Natale» che ci sia rimasto. Gli italiani non farebbero più sconti a un governo che fallisse questa prova.

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