19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Campidoglio. Conferenza stampa del Movimento 5 Stelle sugli arresti al Comune di Roma

di Ernesto Gallii della Loggia

L’interminabile odissea di Virginia Raggi ha avuto almeno un merito: mostrare all’opinione pubblica gli aspetti patologici che rendono di fatto ingovernabile da chiunque il Comune di Roma. Riflettere su questi aspetti è interesse per tutti, non solo per gli infelici cittadini della Capitale

L’interminabile odissea della sindaca grillina di Roma — un’odissea che si muove da mesi tra il patetico della sprovvedutezza collettiva del Movimento e l’opacità dei retroscena personali di Virginia Raggi — almeno un merito l’ha avuto. Quello di mostrare all’opinione pubblica gli aspetti patologici che, al di là degli eventuali reati penali di questo e di quello, rendono di fatto ingovernabile da chiunque il Comune di Roma. Riflettere sui quali aspetti non è interesse solo degli infelici cittadini della Capitale, però, dal momento che patologie eguali o simili si annidano a un dipresso in tutte le nostre amministrazioni pubbliche. Specie in quelle locali: ma probabilmente solo perché in questi casi tra potere politico che dirige e macchina amministrativa che esegue esiste, rispetto alle amministrazioni centrali, una maggiore e più varia contiguità che più facilmente diviene complicità (basti dire che gli impiegati e i loro congiunti, per esempio, sono anche i potenziali elettori di ogni sindaco).
La principale patologia è l’estrema politicizzazione dell’alta dirigenza burocratica dei Comuni (nonché delle Province e dello Stato), prodotto non voluto ma inevitabile dell’infelice riforma varata dal ministro Bassanini all’epoca del primo governo Prodi nel 1996-97. Con quella riforma, infatti, tutti i vertici delle amministrazioni locali (ma anche centrali) hanno perso in pratica ogni effettiva autonomia per essere messi nelle mani del potere politico in quanto licenziabili o trasferibili a un suo semplice cenno.
Dunque, nel caso di cui stiamo parlando, nelle mani del sindaco e del suo partito. Da qui l’unica difesa possibile per i suddetti vertici se non vogliono immolarsi sull’altare della purezza: obbedire senza fiatare al potere divenendone parte, ovvero procurarsi una garanzia legandosi all’opposizione in modo da rendersi più difficilmente attaccabili e sperando di far valere i propri meriti al giro successivo con l’eventuale futuro vincitore. E da qui, di conseguenza, il continuo, quotidiano lavorio diciamo così politico di queste figure, attente non tanto ad amministrare correttamente in nome dell’interesse pubblico, quanto soprattutto a non dispiacere ai rispettivi protettori fino a divenirne quasi i tutori. È così, insomma, anche così, per esempio (perché troppe cose ancora non sappiamo), che si spiega il repentino passaggio dell’ineffabile Marra dalla cerchia di Alemanno a quella della Raggi.
Il secondo elemento che ha avviato alla rovina il Comune di Roma e che molto probabilmente mina chissà quante altre amministrazioni locali è il combinato disposto del contratto del pubblico impiego con l’irresponsabilità del potere sindacale. Come si sa, salvo che lo si colga in flagrante delitto di strage o di analoghe efferatezze, licenziare un dipendente pubblico è oggi virtualmente impossibile dappertutto. Anche i circa 60 mila stipendiati del Campidoglio e delle sue aziende partecipate possono dunque dormire sonni più che tranquilli: di fatto i veri padroni degli uffici sono loro. In realtà, in nome e per conto loro, dominano le oltre dieci sigle sindacali presenti. Le quali, contando sulla pavidità di generazioni di sindaci, non solo hanno ottenuto la cogestione se non qualcosa di più del personale — dalle mansioni, alle carriere, ai concorsi (si può immaginare con quale considerazione dei criteri di merito e con quale conseguenza sull’efficienza del lavoro) — ma in certi casi hanno addirittura ottenuto l’appalto a peso d’oro di alcuni servizi come quello della mensa. Uno degli effetti più scandalosi di tale andazzo è la presenza nei ranghi dei dipendenti comunali di interi alberi genealogici, dei medesimi cognomi che dilagano da una ripartizione all’altra. Anche per questa via, insomma, si è prodotta una vera e propria privatizzazione strisciante di ciò che era e doveva restare pubblico: con l’inevitabile seguito dei numerosissimi e quotidiani piccoli e meno piccoli atti di negligenza, di inadempienza e di assenteismo, di abusi di vario tipo. I tutelatissimi «diritti dei lavoratori» hanno usurpato pressoché per intero i derelitti diritti dei cittadini.
La terza cruciale ragione che rende Roma oggi ingovernabile sta nel fatto che il Comune ha perso il controllo del territorio; ovvero ha rinunciato a stabilirvi delle regole secondo un progetto ragionevole. Il simbolo è la totale assenza della polizia urbana da vie e piazze. Di modo che, sicuro dell’assoluta impunità, ognuno a Roma può fare e fa quello che vuole. Da parcheggiare dovunque in seconda o addirittura in terza fila con conseguente paralisi del traffico, a deturpare il carattere del centro storico aprendo la rivendita di qualunque porcheria commestibile e no, dallo schiamazzare dovunque fino a notte inoltrata, a divellere segnali stradali, a lordare senza ritegno marciapiedi e fontane, a occupare a proprio piacere il suolo pubblico con la propria bancarella, con i propri tavoli nel caso di bar o ristoranti o con piante e fioriere nel caso dei fiorai.
Di fronte a nessuno di questi problemi grandi e piccoli la neosindaca Raggi è stata capace nella sua apparentemente svagata insipienza non dico di trovare soluzione, ma di dare il minimo segnale di consapevolezza e di attenzione. Tra una riavviata di capelli e un’altra la sua presenza continua ad assomigliare a quella di un’extraterrestre: e naturalmente bisognerà ricordarsi, a tempo debito, di questo bel regalo fatto dal Movimento 5 Stelle alla Capitale d’Italia. Verità esige, tuttavia, che allora ci si dovrà pure ricordare di porre a chi di dovere una domanda: se è vero, come è vero, che la spaventosa degenerazione romana viene da lontano, da molto lontano, e se è altresì vero che negli ultimi 25 anni la città è stata per ben 20 governata dalla Sinistra (dello sciaguratissimo Alemanno è meglio perdere pure il ricordo), quale responsabilità i suoi sindaci, da Rutelli a Veltroni, pensano di avere avuto nel prodursi della situazione odierna? Davvero nessuna? O dobbiamo pensare che non si sono mai accorti di nulla? E se invece se ne sono accorti perché non ci hanno mai detto qualcosa?

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